HIV/AIDS e osteoporosi

Di Fabio Vescini

L’osteoporosi è una patologia sistemica che aumenta la fragilità dello scheletro e, di conseguenza, può provocare fratture per traumi di lieve entità o, addirittura, senza eventi traumatici. Questa malattia, che colpisce milioni di persone in tutto il mondo, rappresenta una tra le principali cause di disabilità e la sua frequenza le conferisce sempre più le caratteristiche di malattia sociale. Si calcola che in  Italia  soffrano di osteoporosi tra i 4 e i 5 milioni di persone e che, dopo i 50 anni, siano affetti da questa patologia una donna su tre e un uomo su dieci (1).

L’osteoporosi coinvolge tutto lo scheletro e induce una riduzione della resistenza ossea. I determinanti della resistenza ossea sono la densità minerale ossea (BMD) e le proprietà qualitative dell’osso (micro- e macro-architettura, grado di mineralizzazione, proprietà collageniche, capacità di riparazione dei micro-traumi). L’evento fratturativo, perciò, può essere conseguenza sia di una riduzione della BMD, sia di una alterazione qualitativa dell’osso, sia, infine, di una diminuzione di entrambe le componenti (2). A dimostrazione dell’importanza della qualità ossea sta che circa il 40% delle fratture osteoporotiche occorrono in pazienti con semplice osteopenia densitometrica. In altri termini la BMD, anche se è vero che resta il principale fattore di rischio per le fratture, non riesce a spiegare per intero il rischio fratturativo di un soggetto.

Dal punto di vista eziopatogenetico si riconoscono un’osteoporosi primitiva e una secondaria. La forma primitiva è, principalmente, costituita dalle osteoporosi postmenopausale e senile. A  livello osseo avvengono continuamente due processi, che costituiscono il rimodellamento osseo, uno di neoformazione, ad opera degli osteoblasti e l’altro di riassorbimento, attuato dagli osteoclasti. La perdita di massa ossea può essere il risultato di una ridotta neodeposizione osteoblastica, ovvero di un eccessivo riassorbimento osteoclasto-mediato, oppure di entrambe le condizioni. La drastica diminuzione del livello di ormoni estrogeni, che avviene dopo la menopausa, accelera i processi di riassorbimento osseo, sbilanciando l’equilibrio del rimodellamento e, in ultima analisi inducendo una perdita netta di massa ossea. Inoltre l’osso, come qualsiasi altro tessuto, organo od apparato, tende ad invecchiare e con il passare degli anni si assiste ad una naturale riduzione della massa ossea dovuta sia ad un rallentamento della neodeposizione di osso, sia ad un incremento del riassorbimento di questo tessuto. Dopo il raggiungimento del picco di massa ossea, che si raggiunge intorno ai 25-30 anni, inizia una progressiva riduzione della BMD che ammonta, nei due sessi, ad una perdita dello 0,5-1 % per anno (3); nelle donne questa perdita accelera considerevolmente in concomitanza della menopausa, per poi riportarsi, dopo circa un decennio, al tasso di perdita della popolazione maschile (4).

Le forme secondarie si presentano in corso di altre patologie (es. iperparatiroidismo, ipertiroidismo, ipogonadismo, ipercortisolismo, celiachia, insufficienza renale cronica, artrite reumatoide, connettiviti), in seguito all’uso di farmaci (cortisonici, antiepilettici, anticoagulanti, antiestrogeni, inibitori dell’aromatasi), o per squilibri nutrizionali (dieta povera di calcio, carenza di vitamina D).

L’infezione da virus HIV e la terapia con alcuni farmaci antiretrovirali costituiscono cause ormai ben note di osteoporosi secondaria (5,6). Con l’avvento di trattamenti sempre più efficaci si è assistito ad un incremento della vita media dei pazienti sieropositivi, tanto che ormai si può definire l’infezione da HIV come una condizione cronica. L’aumento dell’aspettativa di vita ha consentito, a questi pazienti, di invecchiare, sommando, tuttavia, al rischio di osteoporosi secondaria all’HIV anche quello pertinente alla forme primitive: non va dimenticato, infatti, che la menopausa nelle donne e l’invecchiamento, in entrambi i sessi, sono le principali cause di osteoporosi nella popolazione generale.

L’ osteoporosi è praticamente asintomatica, finché non si verifica una frattura che, purtroppo, compare quando la malattia è già in fase avanzata. Le fratture da osteoporosi si manifestano anche a seguito di traumi molto modesti e, con maggiore frequenza, colpiscono le vertebre, il polso e, in età più avanzata, il femore. Il singolo evento fratturativo esercita il cosiddetto “effetto domino”, incrementando esponenzialmente il rischio di successive fratture. Va inoltre tenuto presente che l’insorgenza di una frattura osteoporotica del femore, ma anche vertebrale, riduce seriamente la sopravvivenza dei pazienti; una donna di 50 anni presenta un lifetime risk di morire per frattura di femore di circa il 2,8%, che è uguale a quello per cancro della mammella (2,8%) e superiore a quello per cancro endometriale (0,7%) (7).

Per questi motivi l’intervento primario medico deve assicurare una efficace prevenzione della frattura.

Prima di tutto, però, va posta una diagnosi corretta: l’esame più utilizzato, per la misurazione della massa ossea, è la densitometria a doppio raggio X (DXA)  che consente di valutare la BMD. Nel 1994 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito un criterio classificativo che prende in considerazione il T-score, cioè la differenza, in deviazioni standard, della BMD, misurata in un dato paziente, rispetto al valore medio di una popolazione di giovani adulti, aggiustata per sesso e razza. I pazienti osteopenici (con valore di T-score compreso fra – 1 e – 2,5 DS) presentano un rischio di frattura doppio rispetto ai soggetti normali, mentre tale rischio aumenta di 4-5 volte nei pazienti osteoporotici (T-score < – 2,5 DS). L’osteoporosi conclamata (t-score < – 2,5 DS e concomitante presenza di fratture da trauma minimo) è associata ad un aumento del rischio di frattura di 15-20 volte. Questi criteri sono validati per l’uso solo nelle donne in menopausa e negli uomini ultracinquantenni (8). La DXA è indolore, non invasiva, sicura, accessibile a qualsiasi età e comporta un’irrilevante esposizione radiante per i pazienti. Esistono in commercio anche altre apparecchiature che, al posto dei raggi X, utilizzano gli ultrasuoni. Si tratta in pratica di ecografie dell’osso tra le quali, quella condotta sul calcagno, si è dimostrata particolarmente valida. Va ricordato che queste metodiche non consentono la diagnosi di osteopenia e osteoporosi, ma permettono solo di predire il rischio di frattura in misura uguale, o addirittura, superiore alla DXA (9).

Per una corretta gestione clinica del paziente con osteoporosi non ci si deve limitare solo all’indagine densitometrica, ma è necessario eseguire anche esami di laboratorio, utili per escludere la presenza di altre malattie, oltre all’HIV, responsabili dell’osteoporosi (osteoporosi secondarie).

Infine può essere utile eseguire una radiografia della colonna dorso-lombare, per escludere la presenza di eventuali deformazioni vertebrali, particolarmente in quei pazienti che presenta una riduzione della propria altezza.
La prevenzione non farmacologica dell’osteoporosi è basata sostanzialmente sulla correzione dei fattori di rischio (es. dieta con adeguato apporto di calcio, mantenimento di un ottimale stato vitaminico D, regolare attività fisica, cessazione del fumo, riduzione del consumo di caffè e alcol e prevenzione delle cadute), mentre la terapia medica comporta l’impiego di farmaci efficaci nel ridurre il rischio di frattura. Va sottolineato che alcune di queste formulazioni terapeutiche (alendronato e zoledronato) sono già state impiegate con successo nei pazienti sieropositivi con osteoporosi e/o fratture (10-15).