Emergenza totale carceri

 

Polizia Penitenziaria. La situazione delle strutture penitenziarie in Italia convivono in uno stato di emergenza totale
Una illustrazione dettagliata esposta dal segretario generale del Lisiapp(Libero Sindacato Appartenenti alla Polizia Penitenziaria) dr. Mirko Manna
Comunicato Stampa da informazione.it – venerdì, 1 luglio 2011

Basta leggere alcune cifre relative alla situazione degli istituti penitenziari italiani per vedere la situazione in cui esse si trovano: a fronte di una capienza complessiva di poco superiore ai 42mila posti disponibili, alla data del 31 marzo scorso nei 208 penitenziari italiani – costituiti da 38 Case di reclusione, 163 Case circondariali e 7 Istituti per le misure di sicurezza – erano presenti circa 68mila detenuti, 25 mila dei quali (il 37% circa dei presenti) sono stranieri.

 

Nelle 14 strutture detentive del Lazio, con una capienza complessiva regolamentare di 4.661 posti, c’erano 6.576 persone detenute, delle quali 3.019 imputati e 3.541 condannati.
Come poliziotto penitenziario e Segretario Generale del Libero Sindacato Appartenenti alla Polizia Penitenziaria oltre che dirigente sindacale del Sappe al fianco del segretario generale dott. Donato Capece il più importante e rappresentativo della Categoria, posso tranquillamente affermare – senza tema di smentite – che i mali del sistema carcere sono, da anni, sempre gli stessi: sovraffollamento di detenuti, carenza di personale di polizia penitenziaria e del comparto ministeri, caserme del personale e strutture penitenziarie spesso fatiscenti e che cadono letteralmente a pezzi, mense di servizio del tutto scadenti sotto il profilo qualitativo e quantitativo, benessere  del personale inesistente, stipendi inadeguati al costo della vita (specie per chi è chiamato a svolgere il servizio al Nord Italia).
Non è semplice coinvolgere sui temi penitenziari la grande opinione pubblica.

Perchè la società nel suo complesso è disattenta a questi problemi, quando addirittura non prova fastidio per questi problemi, quasi disinteresse, e vuole la rimozione dei temi del carcere, dei temi del penitenziario. Tende a rimuoverli, perchè i temi del sistema penitenziario fanno riflettere su aspetti che la gente comune preferisce non affrontare. I temi carcerari sono oggetto di attenzioni da parte dei giornali, delle televisioni, delle discussioni dell’opinione pubblica solo quando emergono le patologie del sistema: evasioni, aggressioni, eventi tragici come le morti in carcere e i suicidi, oppure quando ci sono ospiti, nei nostri istituti, detenuti eccellenti che fanno notizia in sé e ci si dimentica dei 70.000 altri detenuti "normali".

Possiamo fare qualche esempio di criticità – dichiara il segr. gen. del Lisiapp- a cominciare dalla situazione campana dove le strutture come Santa Maria Capua Vetere sono allo stremo della ricettività, quelle del salernitano di Fuorni ed Eboli e nel napoletano con Poggioreale e Secondigliano. Non và meglio neanche a Benevento e nemmeno ad Avellino insomma in tutta la Campania si soffre di sovraffollamento e carenza di organico.

Inoltre continua Manna – stesse situazioni le troviamo nelle regioni dell’ Umbria con un recente sit-in di protesta messo in atto dalle O.S. come il Lisiapp, in Toscana, in Liguria e quasi tutto il nord est e ovest Italia compreso le strutture detentive di Milano Opera e S.Vittore, per non parlare della Sicilia e della Puglia che ormai convivono con lo stato di emergenza totale.

Quando si parla di carcere, poi, è sempre molto forte la tentazione di sviluppare ragionamenti ispirati a singoli eventi o a specifiche questioni, che occasionalmente ed improvvisamente fanno diventare interessante il dibattito sul mondo penitenziario. Se il carcere è in larga misura destinato a raccogliere il disagio sociale, è evidente che è chiamato a compiti molto diversi dall’equazione reato-pena, per cui ha bisogno di essere aiutato dal territorio. Il sovraffollamento delle strutture penitenziarie è certamente un problema comune a molti Paesi europei. Caratteristiche uniche del nostro paese sono il flusso e i periodi di permanenza in carcere. Ogni giorno entrano ed escono centinaia di persone dal carcere, un movimento che comporta uno stress enorme del sistema soprattutto in una fase, quella dell’accoglienza, che è la più delicata e la più difficile da gestire.

SOVRAFFOLAMENTO – Il sovraffollamento può peggiorare le capacità dell’Amministrazione di tenere distinti i detenuti in base alla loro posizione giuridica, anche per il numero molto elevato di quelli in attesa di giudizio – circa il 45% dei presenti – e di condannati a pene molto brevi.
Questo quadro complesso è reso ancor più difficile dalla eterogeneità della popolazione ristretta, in gran parte costituita da stranieri, da tossico-dipendenti e da persone con problemi mentali.
Si tenga conto infatti che le carceri italiane sono dei veri e propri \’lazzaretti\’: l\’80% dei quasi 70 mila detenuti ha infatti problemi di salute, più o meno gravi: il 38% versa in condizioni mediocri, il 37% in condizioni scadenti, il 4% ha problemi di salute gravi.
Solo il 20% dei detenuti è sano.
Non solo: del 30% dei detenuti che si è sottoposto al test Hiv, il 4% è risultato positivo.
E ancora, il 16% soffre di depressione o altri disturbi psichici, il 15% ha problemi di masticazione, il 13% soffre di malattie osteoarticolari, l\’11% di malattie epatiche, il 9% di disturbi gastrointestinali ed infine circa il 7% è portatore di malattie infettive.
Un detenuto su tre ha inoltre problemi di tossicodipendenza: il 49,9% consuma più di una sostanza, il 27,6% oppiacei e il 23,4% cocaina. Fino a qualche decennio fa si era riusciti a portare al centro dei problemi della sicurezza e della giustizia il mondo delle carceri, avviando un profondo processo di riforma, coniugando sicurezza con ragionevolezza, con trattamento, con umanità. Tutti noi. Polizia Penitenziaria, ci sentiamo fortemente coinvolti e motivati, consapevoli che ci sia una reale attenzione da parte della opinione pubblica, delle Istituzioni e della politica, ma purtroppo il processo di rinnovamento e di riforme si è incomprensibilmente fermato mentre si è fatta strada la rassegnazione che le cose debbono andare così. E’ statisticamente provato che guadagnare la libertà in modo graduale, con un tutoraggio e un accompagnamento sul territorio da parte degli operatori, abbatte sensibilmente la recidiva.

Il lavoro all’esterno rappresenta un modo concreto per sperimentare la volontà reale del detenuto di lavorare e di reinserirsi nella società civile. Più attività lavorative in carcere fanno acquisire la consapevolezza di essere protagonisti loro stessi del proprio futuro. La Polizia penitenziaria, la quarta Forza di Polizia del Paese, deve connotarsi sempre più come polizia della esecuzione oltreché di prevenzione e sicurezza ed è dunque certamente quella più propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative. Serve, quindi, una nuova politica della pena, necessaria e indifferibile.

E’ necessario un ‘ripensamento’ organico del carcere e dell’Istituzione penitenziaria, prevedendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva. E se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la Polizia Penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all\’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell\’esecuzione penale. Il controllo sulle pene eseguite all\’esterno e sull’adozione del braccialetto elettronico, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria anche alla luce della istituzione dei suoi Ruoli Tecnici, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione.
Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene. Sul carcere, insomma, è davvero il momento di passare dalle parole ai fatti: sono necessari atti concreti ed efficaci.
Auspico, infine, che quando si parla di carcere non lo si faccia esclusivamente in relazioni alle condizioni di detenzione.
E’ infatti necessario avere maggiore attenzione politica e sociale anche e soprattutto per chi lavora in carceri ancora fatiscenti e sovraffollati, spesso lontani centinaia di chilometri dal proprio luogo d’origine e dai propri familiari. Per chi vive in caserme spesso malsane e deprimenti; per chi non ha neppure una Sala bar dove poter consumare un caffè che non sia quello surrogato delle macchinette; per chi quando va a pranzo o a cena nelle mense di servizio si trova davanti solamente un piatto di pasta scondita ed una scatoletta di tonno; per chi deve indossare una la stessa divisa tre o quattro anni perché non ce ne sono altre; per chi si sente troppo spesso abbandonato al proprio destino.
E’ necessario avere maggiore attenzione per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, come sempre impegnati – 365 giorni all’anno, 24 ore al giorno – a rappresentare lo Stato e le sue leggi nel difficile mondo penitenziario.

 

Nelle 14 strutture detentive del Lazio, con una capienza complessiva regolamentare di 4.661 posti, c’erano 6.576 persone detenute, delle quali 3.019 imputati e 3.541 condannati. Come poliziotto penitenziario e Segretario Generale del Libero Sindacato Appartenenti alla Polizia Penitenziaria oltre che dirigente sindacale del Sappe al fianco del segretario generale dott. Donato Capece il più importante e rappresentativo della Categoria, posso tranquillamente affermare – senza tema di smentite – che i mali del sistema carcere sono, da anni, sempre gli stessi: sovraffollamento di detenuti, carenza di personale di polizia penitenziaria e del comparto ministeri, caserme del personale e strutture penitenziarie spesso fatiscenti e che cadono letteralmente a pezzi, mense di servizio del tutto scadenti sotto il profilo qualitativo e quantitativo, benessere  del personale inesistente, stipendi inadeguati al costo della vita (specie per chi è chiamato a svolgere il servizio al Nord Italia).Non è semplice coinvolgere sui temi penitenziari la grande opinione pubblica.

Perchè la società nel suo complesso è disattenta a questi problemi, quando addirittura non prova fastidio per questi problemi, quasi disinteresse, e vuole la rimozione dei temi del carcere, dei temi del penitenziario. Tende a rimuoverli, perchè i temi del sistema penitenziario fanno riflettere su aspetti che la gente comune preferisce non affrontare. I temi carcerari sono oggetto di attenzioni da parte dei giornali, delle televisioni, delle discussioni dell’opinione pubblica solo quando emergono le patologie del sistema: evasioni, aggressioni, eventi tragici come le morti in carcere e i suicidi, oppure quando ci sono ospiti, nei nostri istituti, detenuti eccellenti che fanno notizia in sé e ci si dimentica dei 70.000 altri detenuti "normali".

Possiamo fare qualche esempio di criticità – dichiara il segr. gen. del Lisiapp- a cominciare dalla situazione campana dove le strutture come Santa Maria Capua Vetere sono allo stremo della ricettività, quelle del salernitano di Fuorni ed Eboli e nel napoletano con Poggioreale e Secondigliano. Non và meglio neanche a Benevento e nemmeno ad Avellino insomma in tutta la Campania si soffre di sovraffollamento e carenza di organico.

Inoltre continua Manna – stesse situazioni le troviamo nelle regioni dell’ Umbria con un recente sit-in di protesta messo in atto dalle O.S. come il Lisiapp, in Toscana, in Liguria e quasi tutto il nord est e ovest Italia compreso le strutture detentive di Milano Opera e S.Vittore, per non parlare della Sicilia e della Puglia che ormai convivono con lo stato di emergenza totale.

Quando si parla di carcere, poi, è sempre molto forte la tentazione di sviluppare ragionamenti ispirati a singoli eventi o a specifiche questioni, che occasionalmente ed improvvisamente fanno diventare interessante il dibattito sul mondo penitenziario. Se il carcere è in larga misura destinato a raccogliere il disagio sociale, è evidente che è chiamato a compiti molto diversi dall’equazione reato-pena, per cui ha bisogno di essere aiutato dal territorio. Il sovraffollamento delle strutture penitenziarie è certamente un problema comune a molti Paesi europei. Caratteristiche uniche del nostro paese sono il flusso e i periodi di permanenza in carcere. Ogni giorno entrano ed escono centinaia di persone dal carcere, un movimento che comporta uno stress enorme del sistema soprattutto in una fase, quella dell’accoglienza, che è la più delicata e la più difficile da gestire.

SOVRAFFOLAMENTO – Il sovraffollamento può peggiorare le capacità dell’Amministrazione di tenere distinti i detenuti in base alla loro posizione giuridica, anche per il numero molto elevato di quelli in attesa di giudizio – circa il 45% dei presenti – e di condannati a pene molto brevi. Questo quadro complesso è reso ancor più difficile dalla eterogeneità della popolazione ristretta, in gran parte costituita da stranieri, da tossico-dipendenti e da persone con problemi mentali. Si tenga conto infatti che le carceri italiane sono dei veri e propri \’lazzaretti\’: l\’80% dei quasi 70 mila detenuti ha infatti problemi di salute, più o meno gravi: il 38% versa in condizioni mediocri, il 37% in condizioni scadenti, il 4% ha problemi di salute gravi. Solo il 20% dei detenuti è sano. Non solo: del 30% dei detenuti che si è sottoposto al test Hiv, il 4% è risultato positivo. E ancora, il 16% soffre di depressione o altri disturbi psichici, il 15% ha problemi di masticazione, il 13% soffre di malattie osteoarticolari, l\’11% di malattie epatiche, il 9% di disturbi gastrointestinali ed infine circa il 7% è portatore di malattie infettive. Un detenuto su tre ha inoltre problemi di tossicodipendenza: il 49,9% consuma più di una sostanza, il 27,6% oppiacei e il 23,4% cocaina. Fino a qualche decennio fa si era riusciti a portare al centro dei problemi della sicurezza e della giustizia il mondo delle carceri, avviando un profondo processo di riforma, coniugando sicurezza con ragionevolezza, con trattamento, con umanità. Tutti noi. Polizia Penitenziaria, ci sentiamo fortemente coinvolti e motivati, consapevoli che ci sia una reale attenzione da parte della opinione pubblica, delle Istituzioni e della politica, ma purtroppo il processo di rinnovamento e di riforme si è incomprensibilmente fermato mentre si è fatta strada la rassegnazione che le cose debbono andare così. E’ statisticamente provato che guadagnare la libertà in modo graduale, con un tutoraggio e un accompagnamento sul territorio da parte degli operatori, abbatte sensibilmente la recidiva.

Il lavoro all’esterno rappresenta un modo concreto per sperimentare la volontà reale del detenuto di lavorare e di reinserirsi nella società civile. Più attività lavorative in carcere fanno acquisire la consapevolezza di essere protagonisti loro stessi del proprio futuro. La Polizia penitenziaria, la quarta Forza di Polizia del Paese, deve connotarsi sempre più come polizia della esecuzione oltreché di prevenzione e sicurezza ed è dunque certamente quella più propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative. Serve, quindi, una nuova politica della pena, necessaria e indifferibile.
E’ necessario un ‘ripensamento’ organico del carcere e dell’Istituzione penitenziaria, prevedendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva. E se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la Polizia Penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all\’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell\’esecuzione penale. Il controllo sulle pene eseguite all\’esterno e sull’adozione del braccialetto elettronico, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria anche alla luce della istituzione dei suoi Ruoli Tecnici, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene. Sul carcere, insomma, è davvero il momento di passare dalle parole ai fatti: sono necessari atti concreti ed efficaci.
Auspico, infine, che quando si parla di carcere non lo si faccia esclusivamente in relazioni alle condizioni di detenzione. E’ infatti necessario avere maggiore attenzione politica e sociale anche e soprattutto per chi lavora in carceri ancora fatiscenti e sovraffollati, spesso lontani centinaia di chilometri dal proprio luogo d’origine e dai propri familiari. Per chi vive in caserme spesso malsane e deprimenti; per chi non ha neppure una Sala bar dove poter consumare un caffè che non sia quello surrogato delle macchinette; per chi quando va a pranzo o a cena nelle mense di servizio si trova davanti solamente un piatto di pasta scondita ed una scatoletta di tonno; per chi deve indossare una la stessa divisa tre o quattro anni perché non ce ne sono altre; per chi si sente troppo spesso abbandonato al proprio destino.
E’ necessario avere maggiore attenzione per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, come sempre impegnati – 365 giorni all’anno, 24 ore al giorno – a rappresentare lo Stato e le sue leggi nel difficile mondo penitenziario.