L’infezione da HIV: la gestione neonatale e in età pediatrica

Clinica Pediatrica dell’Università di Milano – AO Luigi Sacco

I bambini con infezione da HIV sono circa 2 milioni e la trasmissione verticale è responsabile di più del 90% dei casi, interessando soprattutto i paesi in via di sviluppo.

La trasmissione verticale può avvenire in utero (25-40% dei casi), intrapartum (60-75%) e in epoca post-natale (14-29%). Le infezioni placentari e la corioamnionite sono fattori di rischio per l’infezione in utero; la rottura delle membrane amniotiche, la prematurità, il parto vaginale e la viremia materna sono fattori di rischio per la trasmissione intrapartum; l’allattamento materno e la sua durata sono fattori di rischio per la trasmissione post-natale dell’infezione.

La conoscenza delle modalità e del timing di trasmissione verticale del virus dell’HIV ha reso possibile l’attuazione di misure preventive che consistono fondamentalmente nella terapia farmacologica materna , nel  taglio cesareo elettivo e nell’allattamento artificiale.

Nei  paesi industrializzati  il tasso di trasmissione si è ridotto a meno del 2%  ed bambini HIV infetti hanno accesso ai farmaci antiretrovirali.

Numerosi lavori hanno valutato l’efficacia della terapia farmacologia nel ridurre la trasmissione verticale della malattia. L’assunzione di zidovudina in gravidanza  tra la 14a  e la 34a sg  e proseguita fino al parto e la somministrazione al bambino nelle prime sei settimane di vita, ha dimostrato una riduzione della trasmissione verticale del 67%. Il ricorso al taglio cesareo elettivo e l’allattamento artificiale  hanno ulteriormente diminuito la trasmissione verticale (< 2%).

Nonostante il notevole incremento dell’utilizzo dei farmaci antiretrovirali in gravidanza, poco studiati rimangono gli effetti collaterali fetali correlati alla profilassi materna. La classificazione FDA degli antiretrovirali in gravidanza non pone nessuno di questi farmaci in categoria A (assenza di effetti collaterali fetali nel primo trimestre di gravidanza supportata da studi adeguati), mentre alcuni farmaci sono posti in categoria B (assenza di rischio negli studi condotti negli animali, mancanza di studi adeguati condotti nelle donne gravide).  La maggioranza di farmaci rientra nella categoria C (assenza di studi su donne gravide, studi su animali carenti o indicativi di rischio fetale).

I primi dati relativi all’utilizzo della HAART in gravidanza hanno evidenziato un elevato tasso di prematurità neonatale. In particolare l’European Collaborative Study e il Swiss Mother + Child HIV Cohort Study hanno evidenziato, in 3920 gravidanze, un rischio di prematurità di 2,6 volte superiore nei neonati esposti a terapia di combinazione rispetto ai non esposti.

L’effetto collaterale più frequentemente associato all’utilizzo della zidovudina nel neonato è l’anemia peraltro è completamente reversibile entro la 12a settimana di vita. Non sono stati segnalati neoplasie né decessi imputabili a tale terapia; i bambini non hanno inoltre presentato significative differenze in merito a parametri antropometrici, sviluppo cognitivo.

La HAART ha drammaticamente diminuito la mortalità  e la morbilità per AIDS nel paziente pediatrico infetto, prolungando la vita e migliorando la qualità. Secondo le linee guida CDC, PENTA e OMS la terapia va iniziata in tutti i bambini HIV infetti di età < 12 mesi, nei bambini sintomatici, nei bambini di età > 4 anni con CD4+ < 15% e nei bambini di età < 4 anni con CD4+ <20%. La terapia prevede l’utilizzo di tre farmaci di almeno due categorie (1 PI+ 2NRTI; 1 NNRTI+ 2 NRTI). Il limitato numero di farmaci registrati per l’età pediatrica, di adeguate formulazioni e la scarsa palatabilità di molti di questi, rendono difficoltoso l’approccio terapeutico e  l’aderenza alla terapia, fondamentali per il successo immunolo-virologico.

Un rilevante effetto collaterale legato alla terapia antiretrovirale è la ridistribuzione del grasso corporeo (lipodistrofia). La prevalenza di tale patologia varia dal 1 al 10% se calcolata con l’utilizzo dei  questionari e dal 23 al 25% se valutata con tecniche antropometriche. In uno studio clinico europeo condotto su una popolazione di 477 soggetti lipodistrofici di età compresa tra 3 e 18 anni è stata  riscontrata una prevalenza di dislipidemia  del 52%. Un altro studio condotto su 1812 bambini ha mostrato una prevalenza di ipercolesterolemia del 13% associata all’utilizzo di PI, alla razza bianca e alla soppressione virologica completa.
Poiché il bambino HIV infetto ha  un potenziale di sopravvivenza e quindi anche di esposizione alla terapia di almeno due decadi maggiore rispetto al soggetto adulto, gli effetti collaterali legati alla terapia rischiano di essere più importanti.  Il recente  impiego di tecniche poco invasive ha infatti reso possibile l’osservazione del danno cardiovascolare già in questa età. Attraverso la misurazione dello spessore intima/media della carotide  ad esempio è stato possibile evidenziare un aumento dello spessore della intima media  che sembrerebbe correlata alla durata di esposizione alla HAART.

Per i motivi sopra elencati è di estrema importanza che i bambini HIV positivi vengano seguiti da centri specializzati soprattutto per quanto concerne la diagnosi, l’impostazione della terapia e il follow-up.