Test HIV

Cos’é il test HIV?

Il test HIV accerta se sei stato o meno infettato dal virus HIV.
Una persona reattiva al test HIV viene detta “sieropositiva”.
Il test HIV è un test sierologico immunoenzimatico (ELISA o MEIA): identifica gli anticorpi prodotti contro gli antigeni virali.
Gli anticorpi sono proteine prodotte dal sistema immunitario per combattere una specifica infezione.
Nel caso dell’infezione da HIV gli anticorpi non sono protettivi, cioè le persone che presentano anticorpi anti-HIV sono infette dal virus e possono potenzialmente trasmetterlo ad altri individui.
L’essere Hiv positivi non significa avere l’AIDS.
La diagnosi di AIDS si basa infatti su parametri clinici e su esami per valutare quanto velocemente il virus si moltiplica (carica virale o viral load), o quanto il sistema immunitario è stato danneggiato (conta dei CD4 o tipizzazione linfocitaria).


Quanto é preciso il test?

La sensibilità del test di screening all’HIV supera il 99,9%. Questo test è chiamato EIAo ELISA.

Prima che un risultato positivo di un test ELISA venga riferito all’interessato, il dato viene confermato con un altro test chiamato WESTERN BLOT.
Un test ELISA positivo, confermato da un Western Blot (WB) positivo esprime con certezza la presenza del virus nel sangue di un individuo.

I risultati di un WB vengono interpretati come segue:

– Negativo: nessuna reattività anticorpale (banda)
– Positivo: reattività anticorpale alla gp120/160
– Indeterminato: Presenza di qualsivoglia reattività anticorpale (banda) che non rientra nei criteri di definizione del positivo.
(Eleftherios Mylonakis, Maria Paliou, Michelle Lally, Timothy P. Flanigan and Josiah D. Rich, Laboratory testing for infection with the human immunodeficiency virus: established and novel approaches. Am J Med 2000; 109:568).

Esistono situazioni particolari in cui il test HIV può risultare falsamente negativo, cioè il soggetto è infetto ma il test rimane negativo, oppure in cui il test è falsamente positivo, cioè il soggetto non è infetto ma il test risulta positivo.

La redazione di HelpAIDS ritiene di riportare queste circostanze specificando a priori che queste evenienze sono oggi clinicamente improbabili.
In ogni caso appare necessario sottolineare che il risultato di ogni test andrebbe discusso con personale sanitario qualificato e contestualizzato nella situazione di rischio epidemiologico del soggetto esposto.

Possibili cause di risultati non corretti:

  • Falsa negatività

L’esito falsamente negativo dei risultati è dovuto principalmente all’esecuzione del test nel periodo finestra. La percentuale di risultati falsamente negativi varia da uno 0.3% nella popolazione ad alta prevalenza di infezione ad uno 0,001% nella popolazione a bassa prevalenza.

Periodo finestra:dopo l’avvenuta infezione da HIV, l’organismo impiega circa 10-14 giorni a formare gli anticorpi, identificati dal test ELISA. Alcune persone sieroconvertono solo dopo 3-4 settimane, ma virtualmente tutti i pazienti sieroconvertono dopo 3 mesi dall’infezione.

Sieroreversione: mentre in passato i vecchi test HIV potevano risultare negativi in alcuni soggetti in fase di malattia conclamata (AIDS), a causa della debolezza delle difese immunitarie, oggi con i nuovi test questo non accade.

Agammaglobulinemia: è una malattia molto rara e grave, la cui diagnosi è effettuata nell’infanzia, che determina un difetto nella produzione di anticorpi.

HIV1-N, HIV1-O, HIV2: in passato il test ELISA poteva non riconoscere i sottotipi O ed N:
questi sottotipi sono ancora piuttosto rari, ma oggi identificati dai test ELISA di ultima generazione.
Anche nel caso di HIV2, il test ELISA risulta essere in grado di determinarne la presenza.

  • Falsa positività

Eseguendo entrambi i test (ELISA e WB), la frequenza di risultati falsamente positivi varia da 0,0004% a 0,0007%.
Importanti indicazioni di falsa positività di un test HIV sono: la mancanza di fattori di rischio, una PCR qualitativa non rilevabile, una normale conta dei CD4 (Wood, Robert W. MD; Dunphy, Carol ARNP, MN; Okita, Keith BA; Swenson, Paul PhDTwo “HIV-Infected” Persons Not Really Infected. Arch Intern Med 2003; 163:1857).

Le cause di falsa positività possono essere:

Vaccini HIV utilizzati in sperimentazioni cliniche:
i vaccini HIV sono la più comune causa di risultati falsamente positivi al test ELISA; in una analisi di 266 volontari sani prestatisi agli studi clinici del vaccino HIV, il 68% è risultato HIV positivo ai test ELISA, mentre dallo 0% al 44% è risultato positivo anche al WB, dipendentemente dall’antigene utilizzato per la preparazione del vaccino.

Errori tecnici/di laboratorio

I bambini nati da madri sieropositive possono avere al test, risultati positivi erronei. Questo perché le madri passano i propri anticorpi ai lori figli, ma non necessariamente il virus, pertanto il bambino può essere sano e occorrono altri esami per documentarlo.

  • Risultati indeterminati

Dal 4 al 20% dei test eseguiti in Western Blot risultano indeterminati, con bande positive per proteine HIV1. le cause di risultati indeterminati sono:

Esecuzione del test in fase di sieroconversione: gli anticorpi anti-p24 sono in genere i primi ad apparire.

Infezione da HIV in fase tardiva: di solito nelle fasi avanzate di malattia c’è una perdita degli anticorpi anti-core.

Cross-reattività verso anticorpi non specifici:nei casi di collagenopatie, malattie autoimmuni, linfomi, epatopatie, tossicodipendenza, sclerosi multipla, recente esecuzione di vaccini, gravidanza.

Esecuzione di vaccino sperimentale anti-HIV

Errori tecnici/di laboratorio

Il fattore più importante da valutare nel caso di risultati indeterminati dei test è la presenza o meno di comportamenti a rischio per infezione da HIV.
Il medico specialista interpreterà il risultato e consiglierà approfondimenti diagnostici ove opportuno.


Esistono altri test per fare diagnosi di infezione da Hiv?

Il test ELISA confermato con il test Western Blot è il gold standard per la diagnosi di infezione da HIV.

Altri test, quali l’isolamento virale di HIV, la PCR qualitative e l’antigenemia p24, vengono utilizzati in situazioni epidemiologiche o cliniche particolari.
Il loro utilizzo deve essere deciso dall’infettivologo dopo un’attenta valutazione del caso.

Questi test non possono essere proposti come screening per HIV per motivi di costo e soprattutto per la non sempre facile interpretazione diagnostica del risultato.

  • L’isolamento virale, ottenuto mediante coltivazione delle cellule mononucleate di sangue periferico dei soggetti infetti su colture cellulari, viene utilizzato per studiare le caratteristiche biologiche degli isolati virali, al fine di valutare il fenotipo del virus e la resistenza in vitro dei farmaci antiretrovirali.
  • L’identificazione del materiale genetico del virus con tecnica polimerasica a catena (PCR qualitativa) consente di rilevare la presenza dell’RNA virale o del DNA provirale presenti rispettivamente nel plasma o nel citoplasma cellulare. Le applicazioni cliniche della PCR qualitativa per HIV RNA o per HIV DNA provirale su linfociti sono:
    – Diagnosi dell’infezione nei neonati figli di donne HIV positive
    – Conferma di ELISA o WB di dubbia interpretazione
    – Screening di pool di sacche di sangue a scopo trasfusionale
    – Anticipo di “copertura” del periodo finestra dopo esposizioni accertate.

Questa metodica presenta comunque, numerosi svantaggi che ne limitano l’uso a scopo di screening: non viene eseguita nei centri medio-piccoli per l’elevato costo, è gravata da un tasso abbastanza alto di falsi positivi che rendono comunque necessaria l’esecuzione di un test ELISA di conferma.

Anche l’uso per lo screening delle sacche di sangue non è esente da esiti falsamente positivi che rendono comunque necessarie altre indagini.

A tutt’oggi il test ELISA rappresenta il test con il miglior rapporto costo-beneficio utilizzabile per la diagnosi di infezione da HIV.

  • Altre tecniche di biologia molecolare (RT-PCR, b-DNA, NASBA) permettono di identificare la quantità di acido nucleico virale presente nel plasma corrispondente al numero di particelle virali. Questi test sono utilizzati, una volta confermata la diagnosi di infezione da HIV, per monitorare l’efficacia delle terapia antiretrovirali e non devono mai essere utilizzati nella diagnosi dell’infezione da HIV.
  • L’antigenemia p24: in caso di sieroconversione si positivizza mediamente 16 giorni dopo l’infezione, precedendo solo occasionalmente l’esito del test ELISA. Consiste nella ricerca di una particolare proteina virale nel sangue.

Cosa significa periodo finestra?

Questo periodo corrisponde alla fase in cui è avvenuta l’infezione, ma la produzione di anticorpi non è ancora cominciata o gli anticorpi prodotti non sono ancora sufficienti per essere rilevati dal test HIV. La durata del periodo finestra dipende dalla sensibilità del test ELISA utilizzato e da variazioni individuali sulla capacità di produrre anticorpi verso HIV.

I test HIV di ultima generazione sono sempre più sensibili fino a dare esiti positivi per quantità di anticorpi prodotti estremamente piccole.

Le linee guida dei Centers for Diseases Control di Atlanta (la più prestigiosa organizazione epidemiologica del mondo) reperibili al sito www.cdc.gov, ritengono improbabile un periodo finestra superiore a 90 giorni, per svelare la presenza di anticorpi anti-HIV.


Quando una persona ha un comportamento a rischio, dopo quanto tempo deve eseguire il test HIV?

Riteniamo utile riportare uno stralcio delle linee guida del CDC reperibili al sito http://www.cdc.gov/ relative al periodo finestra di HIV: (Revised Guidelines for HIV Counselling,Testing, and Referral, MMWR, November 9, 2001 / Vol. 50 / No. RR-19).

La maggior parte delle persone infettate sviluppa una quantità di anticorpi identificabile dai test entro tre mesi dall’esposizione.
Se un test è negativo entro i primi tre mesi dal contatto, andrà ripetuto una volta trascorsi tre mesi per escludere la possibilità di risultati falsamente negativi.
Se anche il test eseguito dopo tre mesi dal contatto risulta negativo, molto probabilmente il soggetto a seguito dell’esposizione non ha contratto l’infezione da HIV.

Se però la persona ha avuto un contatto con un soggetto sicuramente sieropositivo o se rimane un dubbio, sarà opportuno ripetere un test di conferma dopo sei mesi dall’esposizione.
Sono stati riportati rari casi di sieroconversioni tardive a 6-12 mesi dall’esposizione (Ciesielski CA, Metler RP. Duration of time between exposure and seroconversion inhealthcare workers with occupationally acquired infection with human immunodeficiency virus. Am J Med 1997;102:115-6).
L’esecuzione di un test HIV di conferma a sei mesi dal contatto a rischio non è generalmente raccomandata, ma deve comunque basarsi sul giudizio clinico riguardo il singolo caso.

  • Rischio reiterato
    I soggetti sottoposti a continuo rischio di trasmissione di HIV rappresentano una categoria a parte per quel che riguarda il follow-up: in questi casi è raccomandata l’esecuzione periodica del test HIV.
    In questo modo, oltre ad avere un monitoraggio dello stato sierologico del soggetto, è possibile mantenere i contatti per colloqui di counselling e prevenzione.
  • Confezione HIV – HCV
    Qualora sia presente una possibile coinfezione HIV-HCV il periodo di follow up andrà deciso di volta in volta dallo specialista.
    Il periodo finestra dell’infezione da HCV può infatti essere superiore rispetto a quello di HIV, pertanto è consigliabile ripetere il test HCV ad almeno 6 mesi dal contatto a rischio.

Quando fare il test: Uno, Tre o sei Mesi dopo il contatto a rischio?

  • Test da eseguire dopo 1 mese: individua molte delle sieroconversioni da HIV. L’ esecuzione del test a 1 mese viene suggerita alle persone che abbiano avuto significativi comportamenti a rischio, al fine di evitare eventuali trasmissioni secondarie durante la fase acuta di malattia.
  • Test da eseguire a 3 mesi: è considerato definitivo. Tutte le persone che hanno avuto un comportamento a rischio dovrebbero eseguire un test a 3 mesi.
  • Test da eseguire a 6 mesi: in tutte le persone che hanno avuto un rapporto a rischio con persone sicuramente sieropositive o in coppie discordanti.

Esistono altri test per fare diagnosi di infezione da HIV?

Il test ELISA confermato con il test Western Blot è il gold standard per la diagnosi di infezione da HIV. Altri test, quali l’isolamento virale di HIV, la PCR qualitative e l’antigenemia p24, vengono utilizzati in situazioni epidemiologiche o cliniche particolari.

Il loro utilizzo deve essere deciso dall’infettivologo dopo un’attenta valutazione del caso.
Questi test non possono essere proposti come screening per HIV per motivi di costo e soprattutto per la non sempre facile interpretazione diagnostica del risultato.

1. L’isolamento virale, ottenuto mediante coltivazione delle cellule mononucleate di sangue periferico dei soggetti infetti su colture cellulari, viene utilizzato per studiare le caratteristiche biologiche degli isolati virali, al fine di valutare il fenotipo del virus e la resistenza in vitro dei farmaci antiretrovirali.

2. L’identificazione del materiale genetico del virus con tecnica polimerasica a catena (PCR qualitativa) consente di rilevare la presenza dell’RNA virale o del DNA provirale presenti rispettivamente nel plasma o nel citoplasma cellulare. La PCR qualitativa viene abitualmente utilizzata per la diagnosi perinatale di HIV nei figli nati da madre HIV+ o in infortuni professionali in operatori sanitari. Questa tecnica viene utilizzata nello screening degli emoderivati su pool di donatori di sangue. Sono possibili risultati falsamente positivi. Il costo della metodica è molto elevato.

Non bisogna confondere questa tecnica con la determinazione quantitativa di HIV RNA, denominata Carica virale o Viral load non applicabile come test diagnostico per l’infezione da HIV.
Le applicazioni cliniche della PCR qualitativa per HIV RNA o per HIV DNA provirale su linfociti sono:

Diagnosi dell’infezione nei neonati figli di donne HIV positive Conferma di ELISA o WB di dubbia interpretazione Screening di pool di sacche di sangue a scopo trasfusionale Anticipo di “copertura” del periodo finestra dopo esposizioni accertate
Questa metodica presenta comunque, numerosi svantaggi che ne limitano l’uso a scopo di screening: non viene eseguita nei centri medio-piccoli per l’elevato costo, oppure viene eseguita in giorni fissi delle settimana per cui i tempi di refertazione possono addirittura essere piu’ lunghi di quelli che si otterrebbero con il test HIV ELISA.
La metodica è inoltre gravata da un tasso abbastanza alto di falsi positivi che rendono comunque necessaria l’esecuzione di un test ELISA di conferma . Anche l’uso per lo screening delle sacche di sangue non è esente da esiti falsamente positivi che rendono comunque necessarie altre indagini.
A tutt’oggi il test ELISA rappresenta il test con il miglior rapporto costo-beneficio utilizzabile per la diagnosi di infezione da HIV.

3. Altre tecniche di biologia molecolare (RT-PCR, b-DNA, NASBA) permettono di identificare la quantità di acido nucleico virale presente nel plasma corrispondente al numero di particelle virali. Questi test sono utilizzati, una volta confermata la diagnosi di infezione da HIV, per monitorare l’efficacia delle terapia antiretrovirali e non devono mai essere utilizzati nella diagnosi dell’infezione da HIV.

4. L’antigenemia p24: in caso di sieroconversione si positivizza mediamente 16 giorni dopo l’infezione, precedendo solo occasionalmente l’esito del test ELISA. Consiste nella ricerca di una particolare proteina virale nel sangue.


É utile fare il test HIV quando sono presenti dei sintomi?

E’ utile eseguire il test HIV ogni qualvolta un individuo abbia avuto un comportamento di rischio (rapporti sessuali occasionali non protetti o contatto con sangue). Ciò nonostante l’infezione acuta da HIV, che coincide con la sieroconversione, si presenta in oltre l’85% dei casi con una malattia virale acuta non sempre facilmente distinguibile da altre banali e comuni virosi.

I sintomi che si possono manifestare in seguito ad infezione da HIV (febbre, rush morbilliforme, faringite, ingrossamento dei linfonodi, ecc…) compaiono abitualmente dalle 2 alle 3 settimane dal contatto a rischio. Tale sintomatologia è comunque aspecifica e non permette di fare diagnosi di infezione da HIV.

Esistono però, infezioni acute da HIV completamente asintomatiche e una persona sieropositiva con infezione stabilizzata può essere completamente senza sintomi per oltre 10 anni dopo l’avvenuta infezione.

Il test HIV va dunque eseguito non in base a sintomi clinici ma in relazione a comportamenti di rischio.
E’ utile identificare le infezioni da HIV il prima possibile, per eseguire una terapia antiretrovirale che preservi integra la capacità del sistema immunitario di riconoscere nel tempo il virus HIV.


Posso avere il risultato del test in modo confidenziale?

La legge italiana prevede che in ogni provincia siano presenti degli ambulatori “testing and counseling” HIV ad accesso diretto (cioè senza avere bisogno dell’impegnativa del medico curante) in cui sia possibile eseguire il test HIV in maniera anonima e gratuita.

Tali ambulatori sono normalmente presenti presso i reparti ospedalieri di malattie infettive.

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