Dalla conferenza gli inviati di NPS Onlus

Un mondo di impegno e speranza
di Sarah Sajetti-Capo Redattore Reallife Network

Anche oggi il programma del congresso è densissimo, oltre alle sessioni si alternano nel corso della giornata manifestazioni e spettacoli, il materiale informativo si accumula a chili sui tavoli espositivi e cd rom illustrativi, presentazioni flash, flier ti piovono in mano da ogni direzione. L’energia è enorme, gli interessi in campo molteplici e a volte persino contrastanti.

Le case farmaceutiche e gli attivisti, i pazienti e i ricercatori rappresentano i mille modi di affrontare l’emergenza.
E studi, migliaia di studi diversi che ci raccontano tutto e il contrario di tutto. Le donne, i bambini, gli adolescenti, gli uomini che fanno sesso con gli uomini, le prostitute, i carcerati, quelli che si iniettano droghe e gli indigenti. I comportamenti, i desideri, lo stigma sociale, il sesso sicuro, l’informazione e la prevenzione, l’accesso ai farmaci, la libertà di circolazione, la criminalizzazione, la religione, il passato, il presente e il futuro.
Tutto e tutti sono stati analizzati e tutto ciò che è stato prodotto qui c’è.
Eppure, cerco da giorni di riassumere gli stimoli e di trovare la notizia, ma non ci riesco. Leggo la rassegna stampa, i giornalisti delle grandi testate la trovano sempre. Mi sembra di essere in un enorme villaggio vacanze in cui sta sempre succedendo qualcosa di fondamentale esattamente nel punto più lontano da dove sono io.

Poi però mi dico che la notizia non c’è, ci sono davvero solo le mille diverse realtà, piccole e grandi, i milioni di malati delle metropoli e le centinaia delle comunità rurali, con culture diverse, esigenze diverse, approcci al problema diversi. Come si può riassumere tutto questo? Credo che ciò che davvero conta sia sapere che in tutto il mondo milioni di uomini e donne stanno lavorando per cercare soluzioni, per rendere accessibili i farmaci, fermare i contagi.
Tutto questo finirà per fare la differenza.

 

Dalla conferenza gli inviati di NPS Onlus

The damage of the secret: why should we disclosure to children their HIV status? (Il danno del secreto: perché dovremmo rivelare ai bambini la loro sieropositività?)
di Katia Andriella- NPS Onlus

Sono al centro congressi Banamex a Città del Messico e salgo all’ultimo piano per entrare nella sala D che espone i poster, ossia i documenti illustrativi di alcuni  progetti medici e sociali sull’HIV. La sala è molto grande: è circondata da stand che rappresentano le associazioni di volontariato e le case farmaceutiche e nella zona centrale si trovano un’ infinità di tabelloni  sui quali vengono esposti  i poster. Guardando quello che mi circonda rimango colpita dal fatto che ogni Paese, anche il più piccolo del mondo, collabora impegnandosi seriamente in un progetto di ricerca. Non riesco, o meglio non voglio, dare un valore maggiore ad un progetto rispetto ad un altro, perché mi sembrerebbe di sminuire l’impegno di persone che hanno lavorato duramente.
I temi svolti sono tanti ma la mia sensibilità verso i bambini mi porta a parlarvi di un poster che lascia aperta una domanda: è giusto comunicare ai bambini sieropositivi il loro stato? L’università di S.Paolo del Brasile ha condotto uno studio su venti bambini sieropositivi di età compresa tra i sei e i dodici anni ai quali non era stato comunicato il loro stato sierologico. Ai piccoli sono stati somministrati test psicologici verbali e grafici finalizzati alla comprensione del loro atteggiamento nei confronti della malattia e delle paure ad essa correlate. Per garantire la piena libertà di espressione i genitori non sono stati autorizzati a presenziare ai test.
Il team ha cercato di cambiare la percezione dei bambini nei confronti della malattia facendo di un disegno e di una storia la modalità attraverso la quale comunicare lo stato patologico. Questo permetterà forse ai bambini di non fare del dolore una dura esperienza che li segni per sempre.

 

Dalla conferenza gli inviati di NPS Onlus

Donne e Hiv
di Sarah Sajetti-Capo Redattore Reallife Network
 Un congresso mondiale è una cosa grossa, ce lo si può immaginare, ma così grossa fa persino un po’ impressione: sono l’iscritta numero 116115 di un evento che si svolge su un’area di 8000 mq e che propone 385 pagine di programma.
Come districarsi in un simile labirinto? Ovviamente è impossibile. Si può solo aprire il programma su una pagina a caso, chiudere gli occhi e presentarsi alla sessione sulla quale è caduto il dito.
Oppure cercare di capire quali incontri potrebbero offrire nuovi punti di vista e quali, invece, rischiano di rivelarsi poco interessanti e ripetitivi. Oppure ancora si può scegliere un argomento che faccia vibrare le nostre corde più profonde e sperare di essere fortunati. Per quanto mi riguarda ho deciso di seguire questa strategia e visto che le mie corde più profonde vibrano per le donne ho scelto due sessioni che si occupassero in maniera specifica di loro.

La prima si intitolava “Hiv prevention for women and girls: changing gender norms” – Prevenzione dell’Hiv per donne e ragazze: cambiare le norme di genere.
La sessione era strutturata in cinque interventi che esponevano ricerche e progetti indirizzati al rafforzamento dell’identità, della consapevolezza sessuale e del potere economico al fine di rendere le donne più attive e assertive. Dal momento che non è certo la prima volta che si discute di simili argomenti la sessione non è stata particolarmente interessante ed innovativa, fatta eccezione forse per l’intervento che presentava il progetto SisterAct.
Pensato per la comunità afro americana di Washington, che vede una percentuale molto alta di donne sieropositive, prevede azioni di prevenzione e informazione nei confronti di donne appartenenti allo stesso nucleo famigliare, allo scopo di migliorare la comunicazione e lo scambio di esperienze sul tema della sessualità all’interno delle famiglie.

La sessione intitolata “Reproductive Health: sexuality, fertility and destre” – Salute riproduttiva: sessualità, fertilità e desiderio, anch’esso strutturata in cinque interventi, è stata decisamente più interessante.
Due sono state le tranche dedicate al desiderio di genitorialità, non troppo originali, e tre quelle dedicate alla sessualità, che hanno invece evidenziato alcune tematiche interessanti.
In particolare l’intervento “Women’s bodies are shops” – I corpi delle donne sono negozi – ha messo in luce una visione del sesso transazionale in Tanzania del tutto particolare e piuttosto inedito per la nostra cultura. Al contrario di quello che succede nella maggior parte dei casi i ricercatori hanno infatti dimostrato che il sesso a pagamento in Tanzania è pratica non solo consueta ma largamente condivisa, che restituisce invece che togliere dignità alle donne. Ne traggono infatti due vantaggi, il piacere e un beneficio economico, decidono in prima persona a chi concedersi e a chi no, ricevono denaro in cambio di qualcosa che rimane loro. Le stesse madri ritengono che se le loro figlie facessero sesso senza avere niente in cambio si comporterebbero come prostitute! Inoltre significherebbe che non valgono proprio niente se nessuno fosse disposto a pagare per avere rapporti con loro.
La relatrice ha sottolineato quindi l’importanza, in un simile contesto, di dare valore al sesso sicuro come ulteriore elemento della trattativa economica per cercare di fermare il diffondersi dell’Hiv.
Altro intervento interessante è stato quello curato da “The pleasure project”, progetto piacere, che propone la strutturazione di campagne di prevenzione imperniate sul concetto di piacere invece che su quello di paura. Considerate le barriere che ancora si interpongono all’uso del preservativo e del femidom potrebbe essere un’interessante strada da percorrere.
    

 

Dalla conferenza gli inviati di NPS Onlus


IS RELIGION A BARRIER TO HIV PREVENTION?
Di Margherita Errico- NPS Onlus
Tra le sessioni che si sono tenute ieri, 4 agosto 2008, mi è sembrata particolarmente interessante quella dedicata alle connessioni tra religione e diffusione dell’Aids. Ve ne propongo un breve sunto.

Messico
Un’indagine condotta nel 2005 sulla secolarizzazione del Messico rivela che l’89% della popolazione giovane crede fermamente nella Vergine di Guadalupe, mentre solo il 3% si è dichiarato ateo. Questo dato indica in modo evidente che la religione prevalente nel Paese è quella cattolica. Negli ultimi anni si è verificata una forte regressione politica dovuta appunto alla forte religiosità dei messicani che li rende permeabili al messaggio di Papa Benedetto XVI e alla sua campagna di prevenzione basata sull’ABC (Abstinence, Be Careful), alle raccomandazioni sul non uso del condom, alla disapprovazione della convivenza e dell’omosessualità. Malgrado ciò l’opinione pubblica in Messico rimane indipendente su alcuni temi, approva per esempio le unioni di fatto, ma le conseguenze delle pressioni vaticane restano drammatiche, tanto che finora non è mai stata fatta prevenzione nelle scuole perché proibita.

India
Nell’induismo la sessualità è parte integrante della religione, tanto che la divinità principale, chiamata Moksha, si suddivide in tre figure di cui uno è il Kama, riconosciuto proprio come il piacere. Con la dominazione inglese vi è stata però una forte oppressione sessuale e come in molti altri Paesi si è tardato a riconoscere che la diffusione dell’Aids potesse riguardare il Paese. A partire dalla conferenza di Bangalore dell’1-2 giugno 2008 si è però iniziato a riconoscere l’importanza di una corretta informazione sull’Aids e la prevenzione, dalla quale sono però esclusi gli Indu caucasici.

Australia
Si stima che in Nuova Guinea e Papua ci siano 5 milioni e mezzo di abitanti  e che la percentuale di persone sieropositive sia dell’1.28%, ovvero 18.484 infetti (dati del dic. 2006) di età compresa tra i 15 e i 49 anni, tutti prevalentemente infettatisi per via eterosessuale. La visione dell’infezione da Hiv in questi paesi è ancora legata alla concezione del Vecchio Testamento (Deuteronomio) cioè alla visione dell’Aids come una delle grandi piaghe mandate da Dio. I vescovi della Papua non considerano il condom un mezzo sicuro di prevenzione e di protezione, ma anzi un mezzo che implementa quella promiscuità che è il terreno fertile dell’Aids. L’arcivescovo della Papua ha finanche dichiarato il condom “strumento del diavolo” (Lettera all’editore “The National” ottobre 2004) e nel 2006 ha appoggiato ufficialmente la posizione attuale di Papa Ratzinger.

 

Dalla conferenza gli inviati di NPS Onlus

4 Agosto
da “La Voce Globale” periodico ufficiale della XVII Conferenza Internazionale sul’Aids.
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LA CRISI ALIMENTARE MINACCIA IL CONTROLLO DELL’HIV

Gli effetti della crisi alimentare mondiale sul controllo della diffusione globale del’Hiv è materia di grande preoccupazione. I dati estimativi non prevedono che i prezzi degli alimenti siano tenuti sotto controllo per i prossimi cinque anni, motivo per cui è necessario rivedere gli aspetti della sicurezza alimentare e le sue relazioni con l’Hiv/Aids, un binomio che riguarda in particolare i paesi più poveri.
A livello microeconomico, si nota una relazione diretta tra i bassi rischi e l’alta prevalenza dell’infezione Hiv nei diversi paesi africani, ha spiegato Suneetha Kadiyala, dell’Istituto Internazionale di Ricerca di Politica Alimentare (IFPRI). Sebbene il livello economico non sia determinante per lo stato sierologico, ma l’Hiv riguarda ugualmente tutte le classi sociali, l’epidemia colpisce di più ai paesi poveri.
Studi hanno dimostrato che una persona malnutrita ha più possibilità di morire nei primi tre mesi di terapia antiretrovirale, a causa degli effetti collaterali, rispetto ad una persona ben nutrita.

Allo stesso modo, le donne sieropositive  in gravidanza e malnutrite sono più propense a trasmettere l’Hiv ai figli, d’accordo con quest’opinione Martin Bloem, capo nutrizionista de programma Mondiale Alimentare (WFP).  Si deve richiamare l‘attenzione sul fatto che le donne malnutrite sono il 70% e più predisposte a rimanere coinvolte in relazioni sessuali prive di protezioni, in paesi come il Botwsana e lo Swaziland.
E’ paradossale il caso dei pescatori in alcuni paesi africani dove il tasso di prevalenza della diffusione dell’Hiv è molto più alta che tra i tossicodipendenti, in parte a causa dei lunghi periodi che passano fuori casa che favoriscono al loro ritorno spendano i loro guadagni in alcool e sesso occasionale.
Lo studio di Janet Seeley, dell’Università dell’Est Anglia, Regno Unito, ha riportato che è frequente il lavoratore non riesce a pagare il prezzo del pesce che ha pescato.
Per salvaguardare la sicurezza alimentare, i partecipanti alla sessione satellite Sicurezza Alimentare, Mezzi di sussistenza e Hiv (Sicurezza Alimentare,  Sussistenza ed Hiv: Cambiamenti e Risposte), è necessario rinforzare l’alimentazione delle donne e contribuire alla crescita dei bambini con una adeguata alimentazioni.
Tuttavia, vi è il dilemma su come devono attuarsi questi programmi, se attraverso finanziamenti in denaro o i rifornimenti alimentari. Ciò dipende, secondo Micelle Adato (IFPRI), delle infrastrutture del paese, dai mercati, dalle differenze di genere (che  influenzano nell’amministrazione degli aiuti) e delle stagioni agricole.

L’ultimo fattore, ma non per questo meno importante, è la volontà politica, piuttosto che le decisioni che si prendono in questa materia che quasi sempre sono influenzate da fini politici.

Di Margherita Errico- NPS Onlus