Come in uno specchio opaco

Come in uno specchio opaco.
Di Pino Zumbo

E’ novembre inoltrato, una sera di un giorno qualunque.
Le luci della città riflettono sul manto fluido… nel suo eterno e perpetuo movimento.
La mareggiata è passata.
Livio è assorto, domina seduto sulla scogliera, con le gambe tra le braccia e il mento appoggiato sulle ginocchia. Il salmastro gli spolvera il viso, come lo zucchero a velo.
Il suo cane, Raà, sta seduto composto al suo fianco, con le orecchie a tortiglione e lo sguardo attento. Lo ascolta, sembra che capisca.

 

 

Gli accarezza la testa con amore, è come un fratello per Livio.
A dicembre stava morendo solo, senza che nessuno lo cercasse, e gli ha salvato la vita.
Altro che cane da ‘arena’… per lui, il suo pitbull è un cane da salvataggio.
Ma è anche un casinista, come il Livio, i cani con l’andare del tempo… somigliano molto ai ‘padroni’.
Il maestrale è flebile ora, come una carezza sul mare libera bagliori d’argento e lampi di stelle.
Saettano sulle acque del porto, rimbalzando irrequiete come un’infanzia in festa.
Come un’energia luminosa che pervade tutt’intorno.
I rumori urbani fanno fatica ad arrivare, giungono ovattati… inconsistenti.

Il mare d’inverno è più caldo, più intimo.
Specie quando si è tristi.

Livio è depresso da così tanto tempo, che gli sembra di essere stato sempre così.
Il mare rende più ricchi i suoi pensieri.
Riesce a farlo guardare in fondo a se stesso.
Lo aiuta, lo sostiene, …lo incoraggia, lo adotta, lo culla.
Non lo tratta come un relitto in balia della risacca, smantellato dai fallimenti e la depressione.
Ma come un veliero fantasma che resiste, ancora, nonostante tutto.
Caparbio ai marosi, in cerca di un porto amico.
Un porto mai raggiunto… inarrivabile… Che forse non c’è.
Ma forse si.
Malgrado i frontali con la vita, rimane sempre e comunque un sognatore geneticamente programmato per non arrendersi mai.
Come un Albatros che affronta l’ignota distesa liquida in cerca di terra ferma.
Ma la depressione lo trasforma spesso come un topo nel labirinto.
Come un criceto nella ruota, che nonostante gli sforzi, rimane sempre al punto di partenza.
Il tempo mantiene il suo ritmo. Il tempo riporta ogni cosa alla luce.
Bisogna sempre andare avanti… perché c’è qualcosa che spinge da dietro.
Quando una coppia si lascia, (molto male) dopo tanti anni, è sempre una tragedia non saper guardare oltre la propria vita. E’ necessario sforzarsi di dimenticare l’incomprensibile.
…Indipendentemente dall’Aids.
Livio ascolta il mare rapito dai sui riflessi. Rimugina:

Mi sento un po’ come uno scommettitore fallito.
A testa bassa con il biglietto perdente strappato e sparso sulle scarpe.
Come un pirla, rimasto solo e sconfitto, dentro un desolante ippodromo vuoto.

Sente solo rimbombare nel cranio le assordanti urla di scherno di tutti i se stesso, senza pietà:
I campioni e i brocchi si riconoscono solo alla partenza…
Pensavo stupidamente di essere un buon giocatore… per quello non mi perdonerò mai… è come se avessi puntato tutto… su un cavallo a dondolo.
Neppure Ray Charles o Stevie Wonder lo avrebbe fatto.
Neppure Mr Magoo o Willy il coyote.
Vorrebbe conquistarsi il posto più estremo raggiungibile, da qui e nessun posto.

Qualcuno mi chiede ogni tanto se sono cattolico. Se vado in chiesa.
Livio sorride a se stesso… lo sguardo fa capolino sul suo specchio d’acqua, riflesso sulle onde del mare scuro, una specie di ghigno profondo lo sorprende.
Sono profondamente cristiano. Questo sì.
Ma in chiesa non vado più da tanto tempo…
Che ci vado a fare in chiesa? Dio non è soltanto lì.
Molta di quella gente… deve sperare che Dio non esista veramente.
Gente che i sensi di colpa riesce a mandarli affanculo, che sta a guardare le miserie degli altri. Quanto è strano vivere in una città piena di persone, che fa di tutto per non guardarsi in faccia.
Mi chiedo se Dio potrà mai perdonarci per quello che ci siamo fatti.
La depressione è come un leone, Livio lo sa…
E se si ammazza il leone, il resto della jungla si mette in riga.

Non c’è più passato né futuro… solo ora.
La fortuna sorride ad alcuni e ride di altri, questo è un fatto.
L’aids gli ricorda ogni giorno, che la vita è relativamente breve, per sprecare qualunque occasione di felicità. La sua violenza verbale spesso, si contrappone all’evidenza degli inganni.
Si sente come una tigre che salta i cerchi di fuoco…
Ma ormai non resta da fare che una cosa:
Andare fino in fondo. Come sempre.
Fin dalla notte dei tempi dei tempi, trionfi ha vissuto, e sconfitte.
Con la droga, con il carcere, con l’aids.
Nel disagio perenne.
Un fine pena: Mai.
Ha combattuto. Ha vinto ed è caduto, cento volte cento, sopra le stelle.
Vede le antiche guerre che ha vissuto, in diversi visi, con diversi nomi.
Ma era sempre lui.
Quella riflessa, è l’ombra di un uomo che neppure uno specchio opaco riconosce più.
E’ un uomo in difficoltà.

La depressione trasforma il vortice dei suoi miasmi in un gorgo di dolore, un abisso interminabile.
Davanti all’abominio, ha perso qualsiasi ambizione di sicumera e baldanza.
Ha vissuto cinque lustri più di quanti tutti si aspettassero, è un uomo fortunato.
Quando si è in ginocchio, assediati da se stessi, la morte infondo… è solo un nuovo inizio.
Una chiara visione dell’ovvio.
Alle volte l’aspetta come se finalmente dovesse arrivare la prima notte di quiete.
Lo sguardo è fisso, immobile, come se stesse guardando in fondo al mondo.
E’ ora di andare
.
Con il cane al guinzaglio si fuma una canna mentre cammina sui masselli.
Procede e pensa… un pensiero anche per il coinquilino dalle nozze d’argento: Viruz
.
Non sopravvalutarti… tu non conti nulla. Rassegnati.
Sei solo una cosa come un’altra, che può succedere. La sorte ha tante opzioni. 
I passi lenti si susseguono. L’uomo e il cane arrivano davanti allo scooter.
La morte è una paura atavica per tutti gli esseri viventi… e quindi morenti.
Ho timore di morire… ma non ho problemi con la morte.
Il cane sale sulla pedana e si siede tranquillo. E’ abituato, gira in scooter da quando aveva 44 giorni.
Ora ha 8 anni… ha anche i peletti bianchi sul suo adorabile muso.
Si comincia a morire il giorno che si nasce, la vita è solo un percorso.
Alle volte lungo, alle volte breve, …alle volte fugace.
Si parte. Direzione tana. La casa infestata dall’infelicità.

 

Due mesi dopo…

La paura uccideva i sentimenti. La depressione è finita.
Ma vincere una guerra può essere relativamente facile, a confronto di conquistare una pace.
Livio si sbarba sorridente, ora è scevro.
La schiuma si espande sul viso esaltandone la faccia da pirla, ma ora se ne compiace:

Forse un giorno riuscirò a chiedermi scusa, per quello che sono riuscito a farmi fare.
Non so ancora cosa farò, ma so quello che non voglio fare più.
E’ meglio attaccarsi a quel poco di dignità che la sorte mi ha concesso.
Fine dell’aberrazione infinita, trasformata in normalità.
Il bilama scorre sulla guancia liberando una striscia di peli invecchiati.
Lei per me, era come un diamante trovato dentro una discarica.
Ma in realtà, è stata solo un’assenza presente. Ora simboleggia tutto ciò che mi disgusta.
Livio è uscito dall’isolamento, ha conosciuto nuove persone.
Ce la sta facendo… con l’aiuto dei suoi nuovi amici.
Mutare all’infinito per rimanere se stessi.
Alcune delle persone che ha conosciuto, hanno un aurea magica, come se dei prodigi dovessero accadergli intorno, e di riflesso investissero anche lui.
Ha sempre diffidato del mondo web, e ha le sue ragioni, ci ha perso una famiglia.
Anche se in realtà non ha perso niente, e forse guadagnato qualcosa.
Finalmente ha riguadagnato se stesso, lo specchio opaco ora è limpido.
Rispecchia nuovamente la sua faccia brutta, con un sorriso a mezza bocca, quello che gli ricorda di essere ancora vivo. Nonostante tutto. Lo specchio adesso lo riconosce di nuovo. Era ora.
E’ una bella sensazione. Vuol dire che ce la posso può fare.

Esce di casa col cane e uno dei cuccioli,  Orus: paffutello, rotondino come un piccolo maialino.
Un fottuto carattere, come il padre e il capo branco (che sarebbe lui).
Le otto gatte e i quattro piccoli scorazzano e giocano nel giardino che finalmente gode di un sole, anche se pur sempre titubante.
Passeggia tra i campi coltivati e respira l’aria profumata, della terra, della natura, della rugiada che evapora nel mattino di maggio
.
Pensa alle donne della sua inammissibile vita… le ha amate tutte, a modo suo.
E in cuor suo, sa che tutte lo hanno amato, a modo loro.
Livio si china verso Raà, l’afferra dolcemente per le orecchie e gli bacia il tartufo umido, lo guarda sorridente muso a muso e gli dice:
Indipendentemente da tutto ciò che il destino e il libero arbitrio hanno combinato, tutte rimarranno per me il favoloso scrigno depositario dei miei ricordi più belli.
Poco importa se da tempo ho perso la chiave per accedervi, …in cuor mio so che sono sempre lì.
Gelosamente conservati da tutti e da tutto.
Il cane lo investe di leccate e lo sdraia sul campo, Orus ne approfitta per calpestargli la faccia.
Come un maialino impazzito lo lecchicchia e muove il codino vorticosamente. Uno spasso.
Un bel momento, se lo gode tutto.
Rientrato a casa pappa per tutta la comitiva, caffè per lui, e via si esce.
Lo scooter si muove. Direzione lago Trasimeno.
L’unica acqua che si muove in questo fottuto e meraviglioso polmone verde.
E’ rimasto molto deluso da esso… sostanzialmente l’ha sempre considerato un cesso senza affluenti e sbocchi…
La moto lo recapita sulla pozzanghera malsana. Appena mette la zampa… l’atmosfera muta.
Livio ha sempre nella sua sacca un quaderno e una penna e un paio di libri, una birra e spesso un panino con la porchetta di Bevagna. Chiaramente in un porta rullini vuoto ‘detiene’ i suoi inseparabili antiretrovirali, e con quelli, i farmaci vassalli alle disgrazie ‘indesiderate’ e l’indispensabile e necessario Berdocan che serve a mantenere il tutto nel suo stomaco.
Altrimenti… Ciao!
Con la sacca sulla spalla procede verso il punto prestabilito.
Attraversando il prato sotto gli alberi, scansa le margheritine per non calpestarle, ma decorano il prato uniformemente e qualcuna non scampa al suo passo leggero.
Si siede aprendo la sacca e si fa una canna.

Lo stomaco si dilata e il panino con birra e terapia calano con garbo e piacere. Tutto a posto. Adesso gli impegni sono svolti, la mente può giacere libera alle sensazioni, dopo qualche minuto l’impulso di scrivere è forte. Livio l’asseconda.
Estrae il suo quaderno Pigna…
Belin! Non c’è. Non l’ha rimesso nella sacca l’ultima volta.
Ma c’è la sua penna preferita, pescata in una stanza d’albergo di Bilbao anni fa.
Livio non si arrende. Non è nel suo carattere.
La scrittura parte fluida, senza incertezze, la penna fa il suo giusto e la calligrafia ne gode:

Il sole sul lago di questa primavera che stenta mi scalda.
I riflessi dei suoi raggi, rimbalzano sull’acqua come saette impazzite convogliano tutte verso me.
M’inondano, mi attraversano come un lampo caldo.
L’inguine, lo spirito, il petto, e infine, come una carezza ardente, il volto; crepato dal tempo e dal freddo.
L’acqua è pulita, dolcemente mobile.
Le gabbianelle scure e le anatre si lasciano cullare, dondolando infreddolite sulla superficie.
Sono tante, almeno un centinaio, piccoli puntini oscillanti in mezzo al lago.
Tra i monti spicca la neve.
E’ freddo, sono beatamente solo.
Ascolto la mia musica, leggo il mio libro, riempiendomi di me stesso, di quello che c’è.
Di quello che mi basta.
Qui in Umbria è questo il mio posto preferito.
D’estate lo detesto, è un enorme pisciatoio dove l’acqua putrida e bassa emette solo miasmi e melma, le zanzare sono sellate e ogni centimetro quadrato è occupato da turisti.
C’è perfino un fottuto campeggio, roba da marziani per me.
A primavera è privilegiato da sbandati della domenica, o da indigeni insediati in zone limitrofe.
D’inverno sono solo. Io e lui. Il lago.
Mi mostra i suoi segreti, mi ammalia, mi seduce, m’incanta.
Il movimento perpetuo dell’acqua increspata dal vento, mi culla, mi rasserena, mi rassicura.
Si presenta al massimo dello splendore, solo per me, facendomi riflettere con un sorriso, su quanto sono stato stronzo a schernirlo, a depauperarlo, a svilirlo, dopotutto sono un uomo di mare.
Si esibisce a me nel privilegio del suo assoluto splendore.
Ora, adesso, è il suo Carpe Diem.
Quando le piogge e la neve hanno purificato le ingiurie dell’uomo, quando il livello è pingue, e il gelo ti suggerisce di startene a casa.
Un’esplosione di verde mi circonda, l’erba è bassa e umida, il mio culo lipodistrofico resiste.
Le margheritine si mischiano a fiorellini viola piccolissimi.
L’aria è polare, ma il sole la rende fresca, tonificante, fa sorridere, mette il buon umore, forse perché ci si sente semplicemente vivi. Qualche cavedano fa capolino incuriosito vicino ai miei piedi, emette qualche bolla per salutare e se ne va.
Una macchia scura si muove sul prato davanti a me, un attimo dopo si dipana galleggiando in formazione verso il canneto al largo, dove stazionano quasi tutti i loro compagni.
Una schiera, una processione stridula.
Tanti piccoli puntini che lasciano una scia luccicante attirata dai riflessi del sole, come lame che attraversano una tela vergine.
Solo una piccola linea sfocata, inanella il lago incastonandolo in una atmosfera rarefatta, l’unica demarcazione tra acqua e cielo, un’esplosione turchese.
La palla di luce e calore mi soffia in faccia la vita.
Mentre si appoggia agli alberi sul pelo dell’acqua, all’improvviso due gazze mi sviano rincorrendosi attorno ad un albero maestoso.
I riflessi sullo specchio fluttuante mi rendono partecipe privilegiato di questo spettacolo.
E’ così fantastico e imprevisto, da sentire l’impulso di scrivere, su qualsiasi cosa, a qualsiasi costo, come per sublimarne la fugace autenticità. Fermo le immagini sul libro che ho con me.
Sulle pagine di un grande ebreo.
Sono nel mio angolo prediletto.
Davanti all’acqua, appoggiato con la schiena al mio palo di ferro che porta la scritta:
Proprietà Privata. Divieto di balneazione.

Fine prima parte.