Tossicità dei farmaci antiretrovirali

Di Cristina Gervasoni

L’introduzione della terapia antiretrovirale a elevata attività (HAART) nella pratica clinica ha radicalmente trasformato l’aspettativa di vita delle persone con infezione da HIV riducendo la mortalità per AIDS e l’incidenza delle infezioni opportunistiche.
Tuttavia, accanto al prolungamento della sopravvivenza e all’ottenimento di un successo viro-immunologico (aumento dei linfociti CD4 e soppressione dell’HIV-RNA) nei pazienti che assumono correttamente la terapia, negli ultimi anni, nella gestione del trattamento antiretrovirale, le manifestazioni di tossicità dei farmaci hanno costituito uno degli aspetti più complessi sia nel breve che nel lungo termine.
In diversi studi è stato riportato che il tasso di interruzione/modificazione dei regimi terapeutici varia dall’8% al 50%  e che, anche se attualmente in riduzione rispetto alla fine degli anni ’90, la tossicità e/o l’intolleranza sono tra le cause più frequenti.

Gli eventi avversi possono essere correlati a un singolo preparato o a un’intera classe di farmaci; in molti casi, inoltre, la stessa tossicità può essere indotta da più farmaci utilizzati in combinazione per cui non sempre è definibile il ruolo specifico del singolo preparato.
Gli effetti collaterali di più comune riscontro sono stati riconosciuti nel corso degli studi registrativi, mentre tossicità più rare sono andate evidenziandosi solo successivamente; da ciò deriva la necessità di proseguire in un’attenta vigilanza anche dopo l’immissione in commercio dei farmaci antiretrovirali
Tra gli eventi avversi più comuni causati dai farmaci utilizzati nel trattamento dell’infezione da HIV vi sono le reazioni allergiche e la tossicità epatica (con rialzo degli esami che studiano la funzione del fegato come per esempio le transaminasi) . Tutti i farmaci antiretrovirali, anche se con un diverso grado di tossicità, possono causare reazioni allergiche di entità variabile (da un lieve rossore su tutto il corpo a forme di arrossamento molto più severe associate a altri disturbi), che possono richiedere nei casi più gravi la sospensione e la modificazione del regime terapeutico, e tossicità su fegato.
Numerosi fattori possono favorire l’insorgenza delle tossicità farmacologiche tra cui – il sesso (le donne, ad esempio, sembrano maggiormente predisposte al rischio di sviluppare reazioni allergiche e, in generale, all’interruzione terapeutica per tossicità), – la presenza di infezioni concomitanti (ad esempio, la coinfezione con i virus dell’epatite B e C accentua il rischio di tossicità sul fegato), – i trattamenti concomitanti quali chemioterapie per i tumori o i trattamenti per infezioni opportunistiche in atto, – la predisposizione individuale, – o un’aumentata sensibilità a varie molecole.

La procedura accelerata d’introduzione, dettata dall’urgenza, dei farmaci antiretrovirali nella pratica clinica non ha, inoltre, permesso di analizzare preventivamente in modo esaustivo tutte le possibili tossicità.
Effetti collaterali inattesi sono andati, pertanto, evidenziandosi negli ultimi anni; in particolare, le alterazioni del grasso corporeo (lipodistrofia) e degli zuccheri (glucosio) e dei grassi (colesterolo e trigliceridi).
Questi effetti collaterali chiamati “a lungo termine” o “cronici”, non sono stati segnalati negli studi registrativi dei farmaci, che come noto privilegiano efficacia e tossicità a breve termine, e vengono meglio studiati dopo l’immissione in commercio dei prodotti.
Associati o meno tra loro, tali eventi indesiderati sono di  frequente osservazione in relazione al protrarsi delle terapie e al numero di pazienti in trattamento e rappresentano un motivo di preoccupazione sia per le possibili conseguenze a lungo termine (per esempio un aumento del rischio cardiovascolare associato però anche agli altri fattori di rischio tradizionale tra cui il fumo, l’obesità e l’ipertensione arteriosa) sia per l’impatto sull’aderenza alle prescrizioni, oltre che costituire uno degli aspetti principali da tenere in considerazione nella scelta dei farmaci antiretrovirali nel primo regime terapeutico così come nei regimi successivi.
Inoltre, tenuto conto dell’invecchiamento della popolazione con infezione da HIV, viene dato sempre maggior rilievo nella gestione clinica della malattia all’influenza della terapia sul rischio cardiovascolare e sulle nuove problematiche che si aprono; di conseguenza, il paziente con infezione da HIV in terapia antiretrovirale necessita di un’attenzione particolare per quanto riguarda prevenzione, diagnosi e monitoraggio di queste condizioni, soprattutto, anche se non solo, per prevenire potenziali comorbidità cardiovascolari.

Convivere con gli effetti collaterali dei farmaci antiretrovirali, ponendo in secondo piano limitazioni anche importanti della qualità della vita, è un tributo ai successi della terapia antiretrovirale che sia i medici sia i pazienti si sono resi disponibili a pagare per i successi del trattamento; oggi, tuttavia, l’introduzione nella pratica clinica di farmaci di nuova generazione da spazio ad atteggiamenti meno rassegnati.
In base ai dati sulle nuove opzioni terapeutiche è forte la tentazione di chiudere subito la questione tossicità affermando che mentre molti “vecchi” antiretrovirali sono tossici, i farmaci “nuovi” sembrano non esserlo.
Sintesi a parte, si autorizzerebbero, tuttavia, conclusioni precipitose. Più correttamente, anche se ancora indulgendo a semplificazioni, è possibile affermare che non tutti i vecchi farmaci sono significativamente tossici, che emergono evidenti differenze se li si confronta tra loro, e che i nuovi farmaci sono in uso da troppo poco tempo per escludere un loro ruolo nel contribuire alla tossicità della terapia antiretrovirale.
In conclusione, migliorare la prognosi e la qualità di vita, aumentare il recupero dei CD4 e la velocità del tempo di negativizzazione della carica virale, ottimizzare la facilità di assunzione della terapia ed evitare lo sviluppo di resistenze, sono gli obiettivi che sempre più a breve si sta ponendo il trattamento antiretrovirale.
Un utilizzo oculato dei farmaci antiretrovirali e un’attenta valutazione delle caratteristiche del singolo paziente rendono sin d’ora possibile, in particolare nei pazienti di nuova diagnosi, l’impostazione di schemi terapeutici a basso impatto di tossicità. Inoltre,  saranno certamente da promuovere tutte quelle strategie diagnostiche e di intervento utili, fin dall’inizio, a monitorare piuttosto che prevenire le tossicità e intervenire laddove necessario, compresa la vigilanza clinica.