A Raltegravir il Premio Galeno 2009

Roma, 26 ottobre 2009 – Per la prima volta un farmaco antiretrovirale ottiene il “Nobel italiano” per i farmaci.

Raltegravir, capostipite della nuova classe degli inibitori dell’integrasi
, ha dimostrato efficacia e potenza significative nei pazienti privi di opzioni terapeutiche e in quelli mai trattati in precedenza. Grazie al buon profilo di tollerabilità  e maneggevolezza, ha migliorato la qualità  di vita dei pazienti.

Il Premio Galeno 2009 è anche un riconoscimento alla ricerca italiana: raltegravir è stato infatti scoperto e sperimentato in Italia ed è il primo caso in cui il primo paziente arruolato per la sperimentazione sia stato un italiano.


Interviste a Stefano Vella e Adriano Lazzarin

Raltegravir, antiretrovirale di Merck Sharp & Dohme per il trattamento dell’Hiv, capostipite della classe degli inibitori dell’integrasi, è il vincitore del Premio Galeno 2009, il prestigioso riconoscimento considerato il “Nobel” italiano dei farmaci.
La giuria, presieduta dal professor Rodolfo Paoletti, ha indicato raltegravir come “farmaco innovativo dell’anno” per i benefici apportati nella terapia dei pazienti affetti da HIV.
Raltegravir è il primo antiretrovirale che abbia mai ottenuto il Premio Galeno, assegnato ogni anno in tre diverse categorie: premio alla carriera, farmaco innovativo e giovane ricercatore.

Con il riconoscimento a raltegravir è stata premiata un’innovazione terapeutica che va nella direzione delle richieste dei pazienti e della comunità  scientifica: terapie anti-retrovirali che assicurino una vita più lunga e più sana, globalmente migliore grazie alla potenza e alla rapidità  d’azione, alla facilità  dello schema terapeutico e alla ridu-zione di effetti collaterali silenti.

In commercio in Italia dal 2008, raltegravir agisce inibendo l’integrasi, l’enzima che, insieme alla trascrittasi inversa e alla proteasi, è essenziale per la riproduzione e la propagazione del virus all’interno delle cellule umane.
Farmaco potente, rapido, e con un buon profilo di tollerabilità  raltegravir rappresenta oggi un’alternativa per i pazienti che non hanno più opzioni terapeutiche, nei quali riesce ad abbassare la carica virale con una efficacia elevata e senza gli effetti colla-terali normalmente correlati alla somministrazione di terapie antiretrovirali.


Raltegravir ha, inoltre, dimostrato rapidità  d’azione e potenza nei pazienti mai trattati in precedenza nello studio STARTMRK di confronto con efavirenz della durata di 48 settimane. Proprio per questo a settembre il farmaco Merck, inizialmente autorizzato per i soli pazienti che presentassero almeno un fallimento con altro antiretrovirale, ha ricevuto dall’EMEA (Agenzia Europea dei Medicinali) l’ampliamento delle indicazioni per l’impiego in associazione con altri farmaci anti-retrovirali nel trattamento dell’infezione da HIV-1 in pazienti adulti, inclusi quelli che inizino la terapia antiretro-virale per la prima volta (pazienti “naive”).



Con raltegravir dopo molti anni un nuovo antiretrovirale viene impiegato direttamente in prima linea, quindi non solo per i pazienti multitrattati ma anche per quelli naive.” ““ afferma Adriano Lazzarin, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive IRCCS del San Raffaele di Milano ““ “Con un grande vantaggio terapeutico perchà© noi sappiamo che quando viene utilizzato in prima linea, raltegravir riduce la carica virale e elimina maggiormente il virus circolante e all’interno dei santuari: la maggiore potenza iniziale e la migliore tollerabilità  del farmaco offrono dunque maggiori pro-spettive di successo.”
 


“Una volta si diceva che si aggiungeva quantità  di vita ai pazienti, oggi siamo riusciti a migliorarne la qualità , rendendola accettabile” ““ afferma Stefano Vella, direttore del Dipartimento del farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità  (ISS). “Purtroppo” ““ aggiunge Vella ““ “molti pazienti falliscono, il virus diventa facilmente resistente, e quindi abbiamo bisogno di utilizzare nuove classi. Raltegravir è il capostipite degli inibitori dell’integrasi, una classe estremamente potente, inizialmente usata nei pazienti che fallivano le terapie, cioè come terapia di salvataggio, oggi registrata come terapia di prima linea in Europa e negli Usa”.






Stefano Vella
Direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità  (ISS)


Aggiungere anni alla vita e vita agli anni: le nuove terapie vincono la sfida


Negli ultimi anni nel mondo i casi di AIDS sono, per fortuna, drasticamente calati. Come è cambiata l’epidemiologia a livello geografico? Quali sono le nuove aree a rischio?

La situazione epidemiologica sta cambiando moltissimo nel nord del mondo, mentre nel sud del mondo è ancora drammaticamente stabile nella sua propagazione.
àˆ vero, i casi di AIDS sono senza dubbio drasticamente calati, ma non bisogna abbassare la guardia.
Secondo i dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità  (OMS), le persone con infezione da HIV sono oltre 33 milioni a livello mondiale e la maggior parte dei sieropositivi, circa 22 milioni e mezzo, vive nell’Africa sub-Sahariana, soprattutto donne.
Il sud-est asiatico è la seconda area più colpita, con circa 4 milioni di persone con infezione da HIV. Grazie alle iniziative di salute globale, per esempio il Global Fund, oggi anche nel sud del mondo cominciano ad arrivare i farmaci antiretrovirali.
Nel nord del mondo l’epidemiologia sta un po’ cambiando perchà© cambiano le caratteristiche dell’epidemia: oggi è consolidato che l’HIV è un’infezione a trasmissione sessuale non limitata ad alcuni comportamenti a rischio, come la tossicodipendenza ed i rapporti omosessuali.
Oggi la malattia colpisce prevalentemente gli eterosessuali.


Sono oltre 4.000 i nuovi casi di infezione da Hiv nel nostro Paese. Si muore sempre meno di AIDS, ma aumenta il numero dei contagi tra gli eterosessuali. Cosa altro suggeriscono i dati più recenti sul profilo epidemiologico della malattia in Italia?

Nel nostro paese si registra una diminuzione della mortalità , ma aumenta il numero di persone che scoprono di avere questa malattia già  in fase avanzata. Il numero dei sieropositivi in Italia è superiore ai 100.000 casi, forse addirittura 140.000, a cui si aggiungono ogni anno circa 4-5.000 nuovi casi. Oggi è più difficile morire per AIDS: grazie alle terapie antiretrovirali la vita si è molto allungata, determinando però un aumento della prevalenza di persone che vivono con una diagnosi di AIDS. Le stime più recenti parlano di una prevalenza di circa 20.000 casi notificati. Lazio e Lombardia sono le regioni dove c’è il più alto numero di sieropositivi: dove ci sono le grandi città , infatti, il virus è più diffuso, ma esistono anche altre realtà , per esempio la Liguria, dove l’incidenza è molto alta.


Oggi ci sono numerosi casi Aids diagnosticati in fase molto avanzata, perchà©? Come è cambiato in questi anni il profilo del paziente con AIDS?

Molte persone arrivano tardi alla diagnosi. Come dicevamo, nel nostro paese ci sono almeno 120-130.000 sieropositivi, di cui oltre il 60% non sa di esserlo: è un sommerso molto significativo. La non consapevolezza circa il proprio comportamento a rischio comporta ovviamente una diagnosi tardiva, cosଠcome poi, tardivamente, si inizia la terapia.
Tra le persone che hanno infezione da HIV o con AIDS sono sempre meno i tossicodipendenti, mentre aumentano le persone che l’hanno acquisita per via sessuale, sia gli eterosessuali che gli omosessuali. E ovviamente la diagnosi tardiva comporta anche un incremento dell’età  del paziente: oggi sono soprattutto gli over 40 quelli che scoprono di essere malati.
Oggi bisogna puntare molto, in termini di prevenzione, sulla facilità  di accesso al test: bisogna invitare chi pensa di avere avuto comportamenti a rischio in passato, ad andare a fare il test.


Le nuove terapie consentono ai pazienti di vivere più a lungo rispetto al passato: questo impatto positivo si riscontra anche in termini di qualità  di vita?

La terapia ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, sia dal punto di vista della potenza dei farmaci sia nella facilità  con cui possono essere presi. Nel 1996 la terapia prevedeva l’assunzione di 30 compresse al giorno, oggi siamo arrivati ad una sola pillola.
Anche dal punto di vista della tossicità  la terapia si è molto evoluta: i farmaci oggi disponibili sono molto meno tossici rispetto ad un tempo e quindi presentano meno effetti collaterali. Una volta si diceva che si aggiungeva quantità  di vita ai pazienti, oggi siamo riusciti a migliorarne la qualità , rendendola accettabile. Purtroppo però molti pazienti falliscono, il virus diventa facilmente resistente, e quindi abbiamo bisogno di utilizzare nuove classi.
La classe di più recente introduzione è la classe degli inibitori dell’integrasi: è una classe estremamente potente, inizialmente usata nei pazienti che fallivano le terapie, cioè come terapia di salvataggio, oggi è registrata a livello europeo e americano come terapia di prima linea. La ricerca deve andare avanti, occorre sviluppare sempre nuovi farmaci, per combattere le resistenze, per affrontare i cambiamenti della malattia che assume connotati sempre diversi.





Adriano Lazzarin
Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive IRCCS San Raffaele di Milano


Raltegravir: la terapia per i pazienti mai trattati avvicina l’obiettivo dell’eradicazione del virus



Professor Lazzarin, il Premio Galeno 2009 è anche un riconoscimento alla ri-cerca italiana: raltegravir è stato infatti scoperto in Italia e proprio Lei ne è sta-to il primo sperimentatore, su un paziente italiano. Quali sono state le Sue esperienze cliniche con questo farmaco?

In un momento non facile della ricerca e sviluppo in campo farmacologico, come quello che stiamo vivendo, è importante sottolineare che questo farmaco è un prodotto originato dalla ricerca di base italiana. La sperimentazione di questo farmaco rappresenta un fatto di grande importanza, perchè è un caso inusuale che il primo paziente arruolato, in uno studio internazionale, sia stato un italiano: un riconoscimento al percorso virtuoso di efficienza dell’industria delle sperimentazioni italiane.
Raltegravir è stato poi successivamente sperimentato in Italia sia negli studi che hanno portato alla registrazione, sia nelle fasi di accesso allargato che precedono la commercializzazione, fino all’impiego abituale nella pratica clinica.
 
Raltegravir è il capostipite di una nuova classe di farmaci: gli inibitori dell’integrasi. Quali sono i vantaggi offerti da questa nuova classe?

Gli inibitori dell’integrasi offrono un nuovo meccanismo d’azione contro la resistenza: la disponibilità  di raltegravir è fondamentale per aggredire i ceppi diventati molto resistenti ai farmaci che interferivano sugli altri meccanismi d’azione. Le resistenze all’enzima della trascrittasi inversa e della proteasi sono in questo modo superate dalla disponibilità  di un farmaco che agisce a un altro livello su nuovi enzimi.
Caratteristiche importanti di raltegravir sono l’elevata potenza, la notevole capacità  di attaccare la replicazione virale e, come dimostra la pratica clinica, l’assenza al momento di effetti collaterali spesso associati ad altre terapie antiretrovirali sul metabolismo lipidico.


Potenza, rapidità  d’azione, nessuna resistenza: raltegravir abbatte la carica vi-rale in tempi rapidi: su questa strada è realistico pensare di arrivare ad eradicare il virus?

Dagli studi fatti sull’impiego degli inibitori dell’integrasi sui soggetti naive, è emerso che il farmaco è capace di ridurre molto rapidamente la carica virale. Una rapidità  d’azione tale da mettere addirittura in discussione l’assioma dell’impossibilità  dell’eradicazione del virus.
I risultati di raltegravir hanno infatti permesso di rivedere i modelli matematici su cui si basava la teoria dell’impossibilità  di eliminare definitivamente il virus dall’organismo se non nell’arco di 70-80 anni.
Sulla base dei nuovi modelli questo obiettivo potrebbe essere raggiunto in un tempo molto più breve, con una terapia più aggressiva che preveda una combinazione di farmaci e la somministrazione di vaccini contro i geni regolatori. Qualche studio è già  partito: il nostro Istituto ne sta conducendo uno insieme a centri americani ed europei che prevede che con l’impiego congiunto di tutti i farmaci disponibili, dei vaccini e delle citochine (che riducono i meccanismi di risposta immunitaria) si possa pensare ad eliminare definitivamente il virus.


 


Recentemente a livello europeo e americano sono state ampliate le indicazioni di raltegravir, che ora può essere utilizzato anche per l’impiego in associazione con altri farmaci anti-retrovirali nel trattamento dell’infezione da HIV-1 in pa-zienti adulti, inclusi quelli mai trattati: quale è il significato di questa nuova in-dicazione?

Finora i nuovi farmaci venivano sperimentati soprattutto con l’obiettivo di trovare una nuova risorsa terapeutica per i pazienti che vanno incontro a resistenze e quindi con la prospettiva di un impiego in seconda linea. Con raltegravir dopo molti anni un nuovo antiretrovirale viene impiegato direttamente in prima linea, quindi non solo per i pazienti multitrattati ma anche per quelli naive.
Con un grande vantaggio terapeutico, perchà© noi sappiamo, che quando viene utilizzato in prima linea, raltegravir riduce la carica virale e elimina maggiormente il virus circolante e all’interno dei santuari: la maggiore potenza iniziale e la migliore tollerabilità  del farmaco offrono dunque mag-giori prospettive di successo.





Raltegravir: capostipite della nuova classe degli inibitori dell’integrasi


Raltegravir, sviluppato da MSD, è l’unico farmaco approvato che inibisce l’enzima integrasi.
Raltegravir è stato studiato in combinazione a un backbone terapeutico ottimizzato (OBT) in pazienti con infezione da HIV sia naive alla terapia che pretrattati.


I risultati derivati da molti studi dimostrano che raltegravir, rispetto al placebo, entrambi associati ad altri farmaci contro l’HIV, possiede una maggiore attività  antivirale a fronte di una tollerabilità  simile.
Raltegravir agisce inibendo l’inserzione del DNA del virus HIV-1 nel DNA umano o-perata dall’enzima integrasi, ed ha dimostrato una rapida insorgenza della sua attivi-tà  antivirale. L’inibizione di questa funzione fondamentale svolta dall’integrasi limita la capacità  del virus di replicarsi e di infettare nuove cellule. Altri farmaci oggi impie-gati inibiscono altri due enzimi di importanza determinante per il processo di replica-zione del virus HIV-1, ossia la proteasi e la trascrittasi inversa, ma raltegravir è il solo farmaco oggi approvato ad agire inibendo l’enzima integrasi.


A partire dal 2007, raltegravir è stato approvato dalle autorità  regolatorie di più di 80 nazioni per l’utilizzo in combinazione ad altri farmaci antiretrovirali nel trattamento dell’infezione da HIV-1 in pazienti adulti già  trattati con evidenza di replicazione del virus nonostante la terapia antiretrovirale in corso. Commercializzato in Italia a partire da aprile 2008, MSD sta avviando le procedure per la registrazione del prodotto in molti altri paesi del mondo.
A luglio del 2009 la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato un ampliamento di indicazione per il raltegravir in associazione con altri farmaci anti-retrovirali includendo in essa l’impiego nel trattamento di pazienti adulti che iniziano la terapia del virus HIV-1 per la prima volta (naà¯ve), in aggiunta ai pazienti adulti trat-tati in precedenza. A settembre anche l’Emea si è espressa favorevolmente in tal senso.


Raltegravir è disponibile come compressa unica da 400 mg da assumere due volte al giorno indipendentemente dai pasti. Il raltegravir non richiede il boosting con ritonavir. Nel caso di concomitante assunzione di rifampicina si può valutare l’opportunità  di raddoppiare il dosaggio di raltegravir a 800 mg due volte al giorno.
 
Inibitori dell’integrasi
Gli inibitori dell’integrasi rappresentano una nuova classe di farmaci per il trattamento dell’infezione da HIV/AIDS; essi inibiscono l’inserzione del DNA di HIV nel DNA umano. Un inibitore dell’integrasi è un farmaco promettente in quanto può essere utilizzato in combinazione con farmaci attualmente in commercio che hanno come bersaglio differenti fasi del ciclo replicativo di HIV.



Il primo lavoro di ricerca sull’integrasi è stato pubblicato nel 1994 sulla rivista Science dai ricercatori dell’Istituto Nazionale per il Diabete e le Patologie Digestive e Renali (NIDDK), presso il National Institutes of Health (NIH). Nel 1995, il NIH ha sponsorizzato la prima conferenza sull’enzima integrasi di HIV, che ha raccolto scienziati da tutto il mondo per esporre tutti gli aspetti della ricerca.


L’integrasi è uno dei tre enzimi di HIV ““ trascrittasi inversa, proteasi e integrasi ““ necessari al virus per replicarsi. I tre enzimi di HIV lavorano a diverse fasi del ciclo replicativo del virus. Dopo l’attacco e la fusione di HIV alla cellula, il virus utilizza l’enzima trascrittasi inversa per tradurre le istruzioni codificate nel filamento di RNA virale a singola elica in un DNA virale a doppia elica, che la cellula può leggere per dare origine alla produzione di nuovi virioni.    
 
Il DNA di HIV viene trasportato all’interno del nucleo della cellula dove è inserito o integrato nel DNA della cellula ospite grazie all’enzima integrasi. Solo dopo l’integrazione del DNA di HIV da parte dell’integrasi e dopo l’attivazione della cellula, il DNA di HIV può essere utilizzato dall’apparato cellulare per la produzione dei mattoni necessari per assemblare un nuovo virione di HIV.


Il terzo enzima di HIV, proteasi, agisce come una forbice che processa questi mattoni in modo che essi possano assemblarsi in maniera appropriata e formare nuovi virus che diffondono l’infezione ad altre cellule.


I farmaci che inibiscono la funzionalità  della proteasi e della trascrittasi inversa di HIV includono inibitori nucleosidici (e nucleotidici) della trascrittasi inversa (NRTI), inibitori non ““ nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) e inibitori della proteasi (PI).


Altri farmaci disponibili includono un inibitore della fusione e un antagonista del CCR5 (inibitore dell’entrata), che impediscono ad HIV di entrare nei linfociti T CD4+ sani.



 


 


Fonte: Daniela Caffari
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