I senza colpa II


I senza colpa II
di Pino Zumbo

Quella mattina, la mia pediatra si presentò a casa, con gli occhi lacrimanti e rossi.
Gli stessi visti mille volte a mia madre, liquidi, crepati dal dolore.
Con parole sue, mi disse che doveva darmi una brutta notizia. Anzi due.
La prima, è che avevo un tumore, e che mi dovevo ricoverare immediatamente.
La seconda fu mettermi al corrente di cosa fosse morta realmente mia madre, e che cosa fosse l’Hiv.
Il virus che ho dalla nascita. Poi i singhiozzi e le lacrime presero il sopravvento e smise di parlare.


E tu?
Glaciale. Il gelo è l’autodifesa che mi scatta in automatico, come un gesto riflesso.
Dentro di me la terza guerra mondiale. Tumore più Hiv uguale: Morire sicuro e brevemente.
A 13 anni. Mentre i miei coetanei si scambiano improbabili giuramenti di fedeltà  e sigillano il loro amore da rotocalco, incatenando lucchetti a ponte Milvio, il sole del buon Dio non mi dava i suoi raggi, forse perchà© aveva già  troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi. Come dice un poeta genovese. Risposi che sapevo già  dell’Hiv, perchà© leggevo i bugiardini. Non piansi.


Com’è andato il ricovero?
La settimana dopo mi operarono, togliendomi una ghiandola sotto il collo, e mi rimandarono a casa.
Passai due anni della mia vita, quelli cruciali per tante cose, avanti e indietro dagli ospedali.
Chemioterapia e cortisone a gogò, il mio corpo, pian piano cominciò a modificarsi, passai dai 40 chili ai 120 nel giro di poco tempo. I medici mi fecero capire che non ci sarebbe stata nessuna possibilità  di riuscita, mi stavano condannando per la seconda volta, a morte certa.


Invece?
Invece ho sfidato nuovamente il trapasso, e anche a questo giro, l’ho battuto.
La morte sei tu, infame maledetto, che approfitti di qualsiasi mezzo per terminarci.
Sono VIVA, sono ancora qui e ora.


Meglio per te. Sei molto coriacea. Hai superato anche il cancro, l’imperatore di tutti i miei alleati.
Ovviamente uscita dall’ospedale iniziarono un altro tipo di casini.
Mi trovavo in piena tempesta ormonale (fisiologica e comprensibile, vista la mia età ), con un fisico che non era più mio, che non riconoscevo più, segnato da malattie e cure.


Ti sei dichiarata?
No. Era un peso che mi avevano sempre raccomandato di tenere segreto, da non dire a nessuno, perchà© se lo avessi svelato in giro, mi sarebbero potute succedere cose brutte.
Vivevo nell’ombra, schiacciata dalla paura, dal pregiudizio della gente, che potesse sapere tutta la mia vita, che soprattutto potesse scoprire che ero sieropositiva, ero timida e introversa.


Tutto il contrario di adesso.
Stavi parlando della tempesta ormonale”¦
Una tempesta infettiva. Che mi castrò l’approccio romantico e sentimentale, obbligata a barriere di lattice, affinchà© l’amore, o il semplice sesso, non si trasformasse in un atto di rischio, di possibile morte.


Quindi hai sempre usato il condom.
Quando ero giovanissima non sempre.
Con alcuni ragazzi non ho avuto il coraggio d’impormi, nà© tanto meno di dichiararmi
.


Come mai?
Perchà© ero complessata. Se insistevo col preservativo venivo scartata. Ero intrappolata in uno scafandro di carne, sformata, prigioniera della paura e schiava della solitudine.


Orfana e infettiva dalla nascita, oltraggiata dall’obesità .
Troppo piccola, troppo stremata e scarsamente lucida.
Ti stupisci? Mentre le mie coetanee miravano alla perfezione, io mi ritrovavo un fisico che facevi prima a saltarmi che a farmi un giro intorno. Mi discriminavano già  solo per essere grassa, “¦e sapevano benissimo, che era conseguenza di una cura per il cancro.
I ragazzini mi offendevano mortificandomi senza pietà .


In un ambiente cosଠcompetitivo e ostile dovevi giocare in difesa.
Cosଠè stato. Per sopperire all’estetica ho dovuto eccellere in altre arti, per crearmi una nicchia nell’ambito del contatto umano, da dove suggevo un minimo di calore.


E ti bastava?
Nell’ambito di quella sopravvivenza, me lo feci bastare, non avevo altro.
Poi le umiliazioni diventarono inaccettabili.
Per fortuna, presi coscienza in concomitanza del mio sgonfiamento fisico, mentre la mia informazione e cultura si estendevano
.


Perchà© non ti sei mai dichiarata?
Perchà© non volevo disegnarmi un bersaglio sulla schiena.


In che senso?
Perchà© dichiarare il proprio stato significa morire socialmente ed essere irrimediabilmente emarginati. Hai mai sentito parlare qualcuno per strada ,o a scuola, di aids?


Sono ottusi e ipocriti più dei genitori, c’è da rabbrividire.
Pronti ad abbandonare il debole, incuranti che, visto le modalità  del contagio, un giorno potrebbe toccare anche a loro. Non è per gufare, ma chi può avere certezze?
Preferiscono mettere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi.


Gli struzzi nascondono la testa sotto la sabbia, ma tengono scoperto e all’aria il culo.
Com’è la tua vita sessuale?
Attiva. Ho un compagno e faccio le mie esperienze normalmente come tutti gli altri, uso tassativamente il preservativo.


Sempre?
Sempre, altrimenti niente.
Ho un astuccio discreto che tengo sempre in borsa, mi è naturale come portarmi la terapia o la bottiglietta d’acqua.


Ora ti dichiari?
Non vado in giro con un cartello sul petto, ma non me ne vergogno più, d’altronde sono nata cosà¬, senza colpa e senza scelta. Se ho un rapporto in cui investo, mi manifesto, è una questione di sincerità  e rispetto; altrimenti no. In entrambi i casi uso il condom, imprescindibilmente.


Lo usi anche se il partner è sieropositivo come te?
Molti non lo fanno, ma io si. Ognuno di noi ha un corredo e una storia personale.
Scambiarselo e mischiarlo con altri può essere pericoloso.
Un malato in terapia ne ha uno, uno asintomatico e non in terapia ne ha un altro, confonderli è un rischio.


Parli delle resistenze crociate, le armi delle mie schiere.
Già , ma non solo. Ci sono una marea di infezioni sessualmente trasmissibili, tra cui la sifilide, a oggi sono 2000 i casi in Italia, non sono quattro gatti. Le epatiti sono sottovalutate, ma sempre attive a ritmo serrato. Senza contare il resto.


Sei molto sveglia, ragazza. Giovane e temibile.
Ho dovuto imparare sulla mia pelle e su quella dei miei amici.
Sei già  abbastanza implacabile e poderoso, senza bisogno di agevolarti alleati.


Cosa fai nella vita?
Ho finito gli studi, diplomandomi. Lavoro, in un’associazione che si occupa di bambini, e mi curo. Ho una cerchia di amici e colleghi che mi permettono di rapportarmi senza paranoie, idem vale per il mio compagno, che è sieronegativo e ha la mia età .


Quindi hai una vita sociale e affettiva normale.
Direi di sà¬. Fatta di piccole cose concrete e tangibili, da vivere e gustarsi giorno per giorno.


Tutta rose e fiori.
Non lo è per nessuno, tanto meno può esserlo per me. Anche nei momenti belli, un paio di volte al giorno devo assumere la terapia salvavita, quella ti fa ricordare ogni volta che sei una malata terminale, quotidianamente.
E’ molto frustrante, capace di toglierti il sorriso anche nei momenti migliori.


Le terapie ti ricordano che sono sempre qui, pronto a colpirti.
Non sei solo tu a colpire, ma anche l’incancrenirsi della stupidità  della gente.
Tu stai facendo sfracelli, e le persone anzichà© controllarsi e stare vigili, vanno esattamente in direzione ostinata e contraria.


Cazzi loro.
Cazzi nostri. Di tutta la comunità .
Ci sono persone che usano l’aids addirittura come insulto.
Perfino allo stadio: “Arbitro sieropositivo!”
Questa è l’assurdità  da Guinness dei primati. Oppure l’imbecillità  filosofica, come quella di dire che tu, virulento infame, sei una creatura di Dio, e che hai diritto a stare su questa terra.


Certo che ne dicono di boiate questi umani.
Questi sono solo due casi personali, chissà  quanti potrebbero raccontarne, se solo avessero il coraggio di uscire dalle catacombe.


Toglitelo dalla testa, ormai è troppo tardi.
Non è mai troppo tardi. Te lo dice una”¦ senza tempo. Tutta la vita in extra time.


Sei piena di speranza”¦ e chi di speranza vive, disperato muore.
Io la sapevo diversa: chi vive sperando muore cagando. Direi che io vivo, punto.
La speranza è una componente che aiuta a esistere, e non bisogna abbracciare nessuna fede religiosa per esercitarla, se sei atea basta credere nell’uomo, “¦forse meglio”¦ nella donna.


Avete un destino scritto.
Ti piacerebbe. Niente sta scritto, non per me.


In che senso?
Nel senso che il destino te lo costruisci col tuo libero arbitrio, non siamo programmabili fantocci filanti, non veniamo al mondo per caso. Unico spermatozoo tra milioni a farcela.


Il tuo aveva l’aids.
M’è toccato quello. Nessuno è perfetto, ma come vedi, nonostante tutto, sono ancora qui a darti addosso e dare un senso alla mia vita.


Continuerai a combattermi senza quartiere.
Certo. Contaci. Fino alla fine di me stessa.


Ti farò molto male.
Perchà©, fino ad oggi siamo stati pane e burro?
Continuerai a provarci, questo è sicuro, ma è altrettanto certo che sarò sempre pronta a lottare.


Sei una mocciosa coraggiosa.
Sono una a cui la vita ha dato delle carte di merda, questo sà¬, ma mi ha dato anche le mani per potermele giocare. Resto seduta al tavolo, finchà© c’è vita c’è speranza..


Ancora con questa favola della speranza?
M’hai stancato. Torno a dormire. Diciamo che sono qui, pronta a romperti ancora le corna.
Non è ancora giunta l’ora di rimboccarmi la lapide.



Fine episodio