Nadirnotizie anticipazione Delta dal CROI di Atlanta

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CROI 2013 (20°): ATLANTA, 3 – 6 MARZO 2013 – ANTICIPAZIONE DELTA 61

 di Simone Marcotullio, David Osorio, Filippo von Schloesser – Nadir

Argomenti:
HCV: NUOVE MOLECOLE E ASSOCIAZIONI SENZA INTERFERONE
COINFEZIONE HIV/HCV: NUOVI COMPOSTI E NUOVI STUDI
HIV: NOVITA’ FARMACOLOGICHE E DI FORMULAZIONE
HBV
ERADICAZIONE IN UN BIMBO? ARGOMENTO CONTROVERSO
L’IL-7 NON FUNZIONA
PREP
CARDIOVASCOLARE e COMORBOSITA’

 

INTRODUZIONE

E’ finito il periodo delle grandi innovazioni farmacologiche per l’HIV. Qualche nuovo farmaco o qualche nuova formulazione è all’orizzonte. Si esplorano strategie terapeutiche anche in linee precoci (seconda) che non includano NRTI qualora necessario, viste le possibili resistenze e l’assenza di NRTI alternativi (Tashima K 153LB e Boyd M 180LB), ma l’enfasi maggiore è data alle infezioni epatiche, in particolare da virus C.

Si stima che nel mondo vi siano 170 milioni di persone con epatite C, dato ben più elevato dell’HIV stesso. La prevalenza di persone coinfette HIV/HCV, a seconda delle regioni geografiche, va dal 30% al 70%. Questa coinfezione produce una sinergia allarmante.

Fino a poco tempo fa, lo standard di terapia prevede l’uso di farmaci molto tossici, spesso intollerabili, con un tasso di successo molto contenuto. La ricerca si è dunque concentrata sullo sviluppo di nuovi composti e associazioni che abbattano queste barriere, da assumere per un periodo più breve. I risultati che riportiamo sono promettenti, ma è necessario un ulteriore sforzo per la loro validazione a lungo termine.

HCV: NUOVE MOLECOLE E ASSOCIAZIONI SENZA INTERFERONE

Di grande impatto i risultati di efficacia (follow-up a 48 settimane dopo il trattamento) su complessivi 61 pazienti dell’ABT 450/r potenziato con ritonavir (dosaggi 150 o 250/100 mg QD), un potente inibitore della proteasi di HCV NS3/4A, associato a un inibitore non nucleosidico di HCV NS5B polimerasi (o ABT 072 o ABT 333), con Ribavirina, sul genotipo 1, il più aggressivo e diffuso (Lawitz E 39). La risposta virologica sostenuta a 24 settimane (SVR24) è stata raggiunta dal 86-95% dei partecipanti naive, in particolare dal 100% di quelli con allele IL28B T e dal 47% di quelli che avevano fallito la terapia standard (pegINF + RBV). Si è registrato un solo fallimento dopo 24 settimane dalla fine della terapia. Sono state registrate anomalie di laboratorio di grado 3-4, in particolare bilirubina, creatinina e clearence di creatinina (questi ultimi due negli stessi pazienti). Un ulteriore studio (King M 38) sulle stesse molecole esamina il rischio di ricaduta virologica, su 321 pazienti non cirrotici con genotipo 1, dopo 8, 12 o 24 settimane di trattamento della combinazione ABT 450/r + ABT 267 + ABT 333 + RBV, definendo che la durata ottimale della combinazione è di 12 settimane sia nei pazienti naive che sui pre-trattati non rispondenti.

Altrettanto importanti i risultati, sempre su persone con HCV genotipo 1, dello studio ELECTRON (Gane E 41LB), che conferma la soppressione virologica a 12 settimane (SVR12) nel 100% dei pazienti che assumono Sofosbuvir (analogo nucleotidico HCV specifico) + Ledipasvir (inibitore dell’NS5A) + Ribavirina per 12 settimane, sia nei pazienti naive che in quelli pre-trattati. Le maggiori anomalie di laboratorio emerse, di grado 3 o 4, sono emoglobina elevata e sangue occulto nelle urine. Ulteriori studi sono programmati per valutare la possibilità di eliminare RBV e per confermare la durata ottimale della terapia. Sofosbuvir 400 mg QD è stato valutato anche in associazione con RBV in 60 pazienti difficili naive (alta carica virale di HCV, di razza nera, fibrosi avanzata e alto BMI) mostrando risultati sorprendenti con SVR12 pari al 100% in pazienti con fibrosi lieve, ma anche in casi più avanzati (Osinusi A 157 LB).

Un’analisi preliminare dello studio COSMOS (E Lawitz 155 LB) ha preso in esame Simeprevir 150 mg QD (TMC435, inibitore delle proteasi di HCV NS3/4A) + Sofosbuvir 400 mg QD, con o senza RBV in pazienti HCV con genotipo 1 (sia di tipo a che di tipo b) non rispondenti, e ha portato ad una SVR 8 rispettivamente del 96% e del 93%.

COINFEZIONE HIV/HCV: NUOVI COMPOSTI E NUOVI STUDI

Lo studio STARTVerso 4 (Dieterich D 40LB) fornisce dati a 12 settimane di risposta virologica precoce (EVR) in pazienti HIV/HCV con genotipo 1 che hanno assunto Faldapravir (inibitore della proteasi di HCV NS3/4A) in associazione con pegINF + RBV. Ha risposto il 91% dei pazienti pre-trattati in fallimento virologico e circa l’80% dei pazienti naive. Si utilizzeranno i dati di SVR (risposta virologica sostenuta) per comprendere la schedule corretta da proporre. Sono state anche esaminate le interazioni di Faldapravir con darunavir/r, efavirenz e tenofovir. I risultati saranno utilizzati per disegnare meglio il proseguo dello studio.

Lo studio TMC435-C212 (Dieterich D 154 LB), di fase III, in aperto ha preso in considerazione Simeprevir 150 mg QD + pegINF+RBV in pazienti HIV/HCV con genotipo 1 sia naive che pre-trattati. In questa analisi interinale, l’SVR 12 (12 settimane post-trattamento) è stata nel 75% dei pazienti naive e nell’80% di quelli che avevano fallito in precedenza la terapia standard per HCV. La terapia per l’HIV non includeva IP.

Lo studio TelapreVIH (ANRS HC26, Cotte L 36) conferma l’efficacia del telaprevir nei pazienti coinfetti che avevano fallito in precedenza la terapia con pegIFN + RBV. Dei 69 pazienti arruolati con genotipo 1, l’88,1 % ha raggiunto una risposta virologica sostenuta in 56 settimane assumendo pegINF + RBV per solo 4 settimane e telaprevir (750 mg, tre volte al giorno) per un periodo da 32 a 56 settimane. Il braccio di controllo assumeva soltanto pegIFN e RBV. La terapia per l’HIV non includeva IP.

Lo studio BocepreVIH (ANRS HC27, Poizot-Martin I 37) mette a confronto l’uso del Boceprevir rispetto al Telaprevir nei pazienti che non hanno risposto alla terapia standard. In questo caso, dopo 4 settimane di pegINF + RBV sono stati somministrati da 800 a 1400 mg/giorno (a seconda del peso corporeo) di Boceprevir per 44 settimane. A 16 settimane, il 70,4% dei pazienti ha raggiunto una risposta virologica sostenuta, dato paragonabile a quello raggiunto dai pazienti non pre-trattati.

HIV: NOVITA’ FARMACOLOGICHE E DI FORMULAZIONE

Dolutegravir (DTG), nuovo inibitore dell’integrasi (INI) in fase avanzata di sviluppo. Nello studio SAILING (Pozniak A 179 LB) è stato somministrato QD in 715 soggetti a pazienti con replicazione virale che non avevano mai assunto INI versus Raltegravir (RAL). A 24 settimane ha azzerato la viremia plasmatica nel 79% dei partecipanti versus RAL (70%), mostrando superiorità. Eventi avversi e guadagno di CD4 (114 vs 106) simili nei due bracci. Negli studi SPRING-2 e SINGLE (Brinson C 554) su pazienti naive, a 48 settimane DTG ha mostrato non inferiorità versus RAL (in associazione a 2 NRTI) e superiorità versus Atripla (TDF/FTC/EFV): il risultato è rimasto vero anche analizzando sottogruppi di popolazioni (divisioni per HIV RNA e CD4 al basale, genere, età, razza, fattori di rischio di HIV). Lo studio ING116070 ha mostrato un’ottima attività antivirale di DTG a 16 settimane anche nel fluido cerebrospinale (Letendre S 178LB).

Tenofovir alafenamide (TAF), nuova formulazione del pro farmaco di tenofovir. A 24 settimane (Zolopa A 99 LB) è stato confrontato con il classico tenofovir (TDF), entrambi associati a elvitegravir/cobicistat + emtricitabina. TAF, in co-formulazione con i farmaci precedenti, conferma l’aumento di oltre 5 volte della concentrazione intracellulare rispetto all’utilizzo di TDF. Nei 170 soggetti naive arruolati, l’87.5% nel braccio TAF e l’89.7% nel braccio TDF avevano viremia azzerata e l’aumento di CD4 è stato, rispettivamente, di 163 e 177. Gli eventi avversi sono simili e l’aumento di creatinina sierica era presente nel braccio TAF solo nelle prime 4 settimane. Non si sono riscontrati casi di tubolopatia in entrambi i bracci. La diminuzione della densità minerale ossea è stata minore nel braccio TAF.

MK-1439, nuovo NNRTI studiato in monoterapia per 7 giorni in 18 pazienti naive, ha fornito dati di potente efficacia nei dosaggi da 25 a 200 mg/QD. Superata la fase della monoterapia nessun paziente ha avuto aumento di carica virale (Anderson M S 100).

Cenicriviroc (CVC), il nuovo antagonista del CCR5 e del CCR2. Presentati i dati di fase II a 24 settimane (Gathe J 106 LB) in combinazione con TDF/FTC in pazienti naive versus efavirenz (EFV). Dei 143 soggetti randomizzati, il successo virologico nel braccio con CVC è stato del 76% e del 73%, rispettivamente, nei dosaggi a 100 mg e a 200 mg QD. Migliori i dati su colesterolo e quelli dell’attivazione monocitaria (marcatore sCD14), fattore indipendente di mortalità nell’HIV. Pochi i casi di interruzione dovuti ad eventi avversi, più presenti nel braccio con EFV.

HBV

L’esistenza di un vaccino contro l’epatite B (HBV) ha ridotto significativamente i nuovi contagi. A volte, però, si verificano episodi acuti causati dall’immunodepressione. Grazie all’azione contro l’HBV di alcuni antiretrovirali (lamivudina, emtricitabina, tenoforvir), si riesce ad evitare la rivaccinazione, mantenendo alti gli anticorpi. Inoltre, si propone l’uso di questi antiretrovirali come profilassi pre-esposizione per l’HBV (M. Heuft 33).

ERADICAZIONE IN UN BIMBO? ARGOMENTO CONTROVERSO

L’annuncio (Persaud D, 48LB) che in un bambino nato da madre sieropositiva non trattata, l’inizio della triplice terapia dopo 30 ore dalla nascita abbia portato all’eradicazione del virus ha lasciato la comunità scientifica divisa. Dopo 26 mesi, infatti, non si è più riscontrata carica virale, HIV DNA e nessun anticorpo specifico, nonostante l’interruzione del trattamento a 18 mesi. Il trattamento ha forse funzionato come Profilassi Post Esposizione? Qualcuno è perplesso sul fatto che il bimbo fosse realmente infetto, nonostante gli esami "di classica evidenza". Qualcuno ipotizza che il bimbo fosse infetto, ma che non avesse stabilito riserve latenti. Alcuni opinion leader, tra cui Steve Deeks, pensano che non sapremo mai la verità in quanto l’HIV trovato nel bambino potrebbe essere quello della madre e che, anche senza la terapia, si sarebbe potuto dissolvere da solo non intaccando così le cellule di memoria long-term, ma solo quelle a breve vita. Solo esami fortemente specifici, non effettuati, avrebbero potuto dare una risposta. Sta di fatto che se l’infezione fosse stata davvero del bambino, e non della madre, ci sarebbe comunque una prova ulteriore che la PEP o la PREP funzionerebbero pienamente. Di diversa opinione Doug Richman che invece sostiene l’argomento dell’eradicazione, in quanto il virus trovato nel bimbo, se della madre, sarebbe dovuto scomparire entro pochissimo tempo.

L’IL-7 NON FUNZIONA

Lo studio ERAMUNE 01 (C Katlama 170aLB), randomizzato e non comparativo, ha proposto a 29 pazienti in soppressione virologica con CD4 > 350 cellule e HIV DNA rilevabile (10-1000 copie), dopo 8 settimane di trattamento con raltegravir + maraviroc come intensificazione, di ricevere 3 iniezioni di r-hlL-7 alle settimane 8, 9, 10 o mantenere solamente l’intensificazione. In sintesi, nessun cambiamento di HIV DNA è stato riscontrato, così come nessuna diminuzione di riserve di HIV. Riscontrato comunque un aumento complessivo di CD4 e CD8, anche se non chiaro a cosa dovuto.

PREP

Lo studio VOICE (Marrazzo J 26LB) ha fallito nel proteggere dall’HIV giovani donne africane, per la maggior parte non sposate, anche nel braccio in cui il trattamento preventivo proposto era Truvada (tenofovir/emtricitabina). Già erano stati chiusi i bracci con solo tenofovir e con tenofovir gel 1%. I risultati sono in contrasto con gli studi di successo Partners PrEP, TDF2, iPreX e CAPRISA 004, già riportati sulla nostra rivista più volte. La bassa aderenza (differente il riscontro tra quella autoriportata e quella verificata dal livello del farmaco nel sangue) sembra essere la maggior responsabile, come era emerso anche dallo studio FEM-PrEP. Promettenti i risultati preclinici su macachi del composto GSK1265744 (Andrews C, 24LB), un analogo del dolutegravir, che può essere formulato in nano-particelle e quindi somministrato tramite iniezioni con schedule mensile o anche superiore.

CARDIOVASCOLARE e COMORBOSITA’

Un’analisi della coorte dei veterani americani (Althoff K 59), per complessive 85.000 persone, mostra che l’invecchiamento precoce negli adulti con HIV non aumenta il rischio di infarto miocardico e malattia renale avanzata, mentre invece aumenta il rischio di alcuni tumori non AIDS correlati. Tuttavia, le percentuali di eventi cardiovascolari, malattia renale avanzata e alcuni tumori non AIDS correlati è maggiore nella popolazione con HIV. La ricercatrice conferma che sono i fattori di rischio tradizionale quelli che hanno valore statistico quando associati all’incidenza di eventi di comorbosità legati all’età.

La coorte D:A:D ha analizzato 27.454 persone con una età media di 41 anni al basale per ottenere 3 risultati: l’incidenza di infarto, la malattia coronarica e l’infarto con procedura invasiva (K Petoumenos 61). La ricercatrice sostiene che dalla coorte D:A:D si rileva un leggera accelerazione del rischio di malattia coronarica e cardiovascolare per anno di anzianità rispetto alla popolazione generale. Ma in questa analisi il rischio relativo d’infarto non è diverso rispetto alla popolazione generale per quanto concerne l’età dell’evento. Su questo dato coincidono sia lo studio D:A:D che quello effettuato sui veterani. In conclusione, il rischio assoluto di malattia cardiovascolare correlata all’HIV rimane sconosciuto. Per avere un dato omogeneo e coerente bisognerebbe somministrare gli antiretrovirali alla popolazione generale per controllarne tossicità e sindrome metabolica.

I dati estrapolati dagli studi SMART, ESPRIT e SILCAAT (Grund B 60) confermano che le persone con HIV sono esposte a patologie non AIDS correlate, quali tumori, malattia cardiovascolare, epatica e renale. La ricercatrice sostiene che tali fattori sono dovuti in parte alla costante infiammazione (cfr. anche art. a pag. 4 – 5), anche in presenza di terapia, e alla coagulazione notando gli effetti combinati dell’interleuchina-6 e del D-dimero. Si suggerisce, pur non essendo diagnostica di routine, di valutare D-dimero e IL-6, parametri utili per comprendere l’efficacia di uno schema terapeutico ed eventualmente sostituirlo in presenza di questi fattori fortemente infiammatori.

Uno studio sulla placca aterosclerotica coronarica (Zanni M OA 63) mostra che l’infarto del miocardio può essere prevenuto anche con l’uso della tomografia (TAC). Le immagini, infatti, evidenziano i diversi gradi di calcificazione e stenosi che rendono le coronarie vulnerabili e quindi spetta al cardiologo e al radiologo valutare l’opportunità di interventi angioplastici.

Fonte: Newsletter Nadir