Italia Swaziland a confronto

La collaborazione tra NPS Toscana, SWANNEPA e il COSPE è partita da un desiderio di confrontare l’impatto che ha avuto e sta avendo l’HIV/AIDS in Italia e nello Swaziland e del significato che può avere la realtà  di un sieropositivo/a nei due paesi.
Tutto ciò sulla linea di quanto riportato nel rapporto di missione di Gianni(NPS Toscana) per affrontare quelle che lui definisce nel rapporto stesso “Aree di miglioramento in Italia” con persone che possono riportare l’esperienza di essere sieropositivo in Swaziland.

L’impatto in Swaziland è stato molto pi๠devastante che in Italia, perchè, primo in Europa è dal 1997 che si ha l’accesso alla terapia antiretrovirale, mentre in Africa l’accesso ai farmaci è iniziato solo a partire dal 2003.
Di conseguenza in Africa, per molti pi๠anni il livello di trasmissione aumentava in maniera esponenziale, sino ad arrivare a pi๠del 40% della popolazione colpita dal virus nello Swaziland.

E’ ormai riconosciuto che non solo l’uso del preservativo può ridurre il pericolo di trasmissione, ma anche la bassa carica virale, dovuta al trattamento con ARV. Di conseguenza la terapia, oltre a mantenere in vita una persona sieropositiva, abbassa moltissimo il pericolo di trasmissione del virus.

Lo Swaziland è un paese martoriato dal virus dell’HIV e il forte impatto, con le conseguenze esposte da Paolo Nicolai, ha fatto sଠche per garantire la sopravvivenza del paese, si avvertisse la necessità  di una maggiore mobilitazione per fare fronte alla pandemia, con la nascita di un ottimo sistema di network tra vari operatori impegnati nella lotta contro l’AIDS.

Ognuno in Swaziland è stato in qualche modo colpito direttamente o indirettamente dal virus dell’HIV, chiunque ha un amico o un famigliare affetto dal virus. Evidentemente in una situazione di questo tipo lo stigma legato a questa malattia, viene sentito molto meno ed è minore il rischio di isolare le persone sieropositive, come invece avviene in Italia.

In Italia la situazione è certamente pi๠stabilizzata dal punto di vista dell’incidenza di persone colpite dal virus e la mortalità  è quasi annullata. L’HIV è una malattia cronica e c’è l’erronea percezione che non è pi๠un pericolo e che sia facilmente gestibile, insomma si è abbassato il livello di guardia e di HIV/AIDS non si parla praticamente pià¹. Lo stigma legato alla malattia è comunque sempre molto forte, dovuto a una totale mancanza di informazione e la sensazione di isolamento di una persona sieropositiva ha conseguenze pesanti.

Non ci si proccupa neppure di parlare di prevenzione. L’HIV/AIDS non interessa quasi pi๠a nessuno, tanto non si muore pià¹!

Con un simile quadro, in Italia diventa difficile per le organizzazioni fare opera di sensibilizzazione per raccogliere fondi utili per iniziative e attività  di sostegno per i sieropositivi, quali gruppi di supporto, counselling…
Viene data importanza solo all’aspetto medico, senza considerare l’apporto psicologico, olistico e informativo, di cui necessita una persona affetta da una malattia cronica, altamente discriminante, in cui il soggetto colpito si sente isolato.

Posso portare ad esempio come avviene il test in Italia e nello Swaziland.

Nello Swaziland la persona che desidera fare il test dell’HIV, riceve una seduta di counselling pre-test. Una volta ricevuto il risultato, la stessa persona viene seguita da un counsellor e, dopo aver incontrato il medico, viene seguito dall’expert client.

Generalmente sia il cousellor che l’expert client sono persone sieroposite, che dopo un adeguato training, sono in grado di guidare un paziente nella sua diagnosi: il counsellor dal punto di vista dell’impatto psicologico/emotivo che la diagnosi può avere sul soggetto; l’expert client sulla gestione della terapia, non facile, soprattutto per chi vive nelle comunità  rurali, lontane dalle strutture sanitarie e con problemi di sostentamento economico, alimentare e di mobilità , per raggiungere le strutture sanitarie.

In Italia viene eseguito un prelievo da un infermiere, senza ricevere alcuna informazione, questo per lo meno a Lucca e in moltissimi altri centri di malattie infettive. Quando il risultato è pronto, se è negativo viene consegnato direttamente al soggetto dall’infermiere, nel caso sia positivo, il medico darà  la lieta novella e le eventuali informazioni sul percorso terapeutico a cui il soggetto si dovrà  sottoporre. Punto

Non credo serva aggiungere altro.

Sicuramente in Italia siamo pi๠avanti per quanto riguarda la ricerca, la linea di medicinali usati e, in teoria, l’acquisizione dei diritti umani e del malato. Dico in teoria perchè se si parla di stigma e il paziente non ha voce in capitolo sulla scelta e la gestione della terapia, mi pare che questi diritti vengano ampiamente calpestati.

Vorrei fare una piccola parentesi sulla condizione di vulnerabilità  della donna sieropositiva. Innanzitutto per una questione anatomica, la trasmissione è maggiore dall’uomo verso donna, che non viceversa.

La donna oltre ad essere a maggior rischio di infezione, è, in quanto madre, possibile fonte di trasmissione per il suo stesso figlio, per questa ragione la donna in stato di gravidanza deve iniziare la terapia ARV prima, rispetto alle linee guida stabilite per una persona sieropositiva.

Queste problematiche sono vere nella realtà  di tutte le donne, ma nel caso delle donne in Africa si aggiunge una minore possibilità  decisionale all’interno della famiglia e nei confronti dell’uomo. Per cui in un simile quadro diventa difficile per una donna convincere il proprio partner ad affrontare il test dell’HIV e che faccia uso del preservativo. Se si considera che in molte comunità  africane, è molto sviluppata la poligamia, il rischio che uno stesso uomo infetti pi๠donne è una realtà  allarmante.

Nonostante la loro maggior vulnerabilità , in Swaziland ho notato molto impegno e coinvolgimento da parte delle donne. Credo che un suggerimento sia di sensibilizzare maggiormente i maschi e di coinvolgerli, perchè siano un aiuto e non un ostacolo per le donne.

Anche i bambini sono estremamente vulnerabili e se si pensa che dovrebbero essere protetti e visti come un importante investimento per il futuro di un paese dove manca una grossa fascia della generazione produttiva, gli sforzi si dovrebbero concentrare un po’ di pi๠verso le giovani generazioni.

Ilaria