Prevenire la recidiva del tumore al fegato

    Nei pazienti affetti da epatite C e sottoposti ad asportazione di un nodulo tumorale di carcinoma epatico (epatocarcinoma), in grado di ricevere dosi sufficienti di interferone, è stato possibile osservare una netta riduzione delle recidive del tumore, soprattutto a lunga distanza: a dimostrarlo è stato uno studio coordinato dott. Vincenzo Mazzaferro, della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove è attivo uno dei gruppi di ricerca clinica e sperimentale sul fegato più importanti d’Europa, pubblicato sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Hepatology.

    La sperimentazione clinica, durata oltre otto anni, ha coinvolto 150 pazienti a cui era stato rimosso chirurgicamente un tumore epatico (epatocarcinoma) insorto su una condizione di epatite C cronica o di cirrosi. L’età  media dei pazienti è stata di 65 anni e si è trattato nell’80% di uomini, notoriamente più colpiti da questo tumore rispetto alle donne.


Lo studio è il primo di questo tipo mai condotto nel mondo occidentale (Europa e Nord-America) che abbia permesso di accertare il ruolo favorevole dell’interferone non solo nel ridurre l’infiammazione conseguente all’epatite C, ma anche e soprattutto nel ridurre la formazione di tumori epatici, purtroppo molto frequenti in questo tipo di pazienti con infezione cronica da epatite C.


Precedenti ricerche condotte in Giappone avevano dimostrato che il rischio di recidiva del tumore al fegato dopo un intervento di asportazione segue un andamento caratterizzato da due “picchi di rischio” corrispondenti a 2 e 4 anni circa di distanza dall’intervento.


La ricerca clinica dell’Istituto Tumori di Milano dimostra che il “picco tardivo” di recidive può essere in gran parte spianato, rendendo la strada dei pazienti sottoposti all’asportazione di questo tumore meno rischiosa, perchà© meno gravata dal rischio di ripresa della neoplasia.


E’ da rilevare il fatto che circa il 25% dei pazienti entrati nello studio e sottoposti all’intervento chirurgico a Milano e negli altri Centri di Torino, Genova e Napoli era già  stato trattato senza successo presso altri Ospedali, utilizzando terapie non del tutto adeguate alla loro condizione di malattia, quali la termoablazione o la embolizzazione.


Di fatto, mediante un processo casuale e indipendente dalla intenzione dei chirurghi ricercatori, un programma computerizzato ha assegnato la terapia con interferone a metà  dei pazienti, mentre il resto non ha ricevuto alcun trattamento dopo l’intervento chirurgico di asportazione del tumore.


Il risultato più rilevante dello studio è che a una distanza media di 4 anni dall’asportazione del carcinoma la percentuale di pazienti in cui il tumore è recidivato si è dimostrata del 30% inferiore in chi era stato trattato con l’interferone rispetto a chi non aveva assunto alcuna terapia antivirale.


Il dato ulteriormente rilevante dello studio, che conferma precedenti osservazioni acquisite in pazienti dell’estremo oriente è che l’interferone si è dimostrato efficace soprattutto sulla recidiva “tardiva” di questo tumore, cioè sulle riprese di malattia che si osservano a oltre 2 anni dall’intervento, che si ritiene siano dovute al persistere dello stimolo cancerogeno dovuto alla persistenza nel fegato del virus dell’epatite C.


Assieme ai pazienti con epatite C afferenti all’Istituto Tumori di Milano, la ricerca ha coinvolto anche i malati di altri 3 Ospedali italiani (Torino, Genova e Napoli).


Il gruppo di lavoro che ha condotto la ricerca pubblicata dall’organo ufficiale dell’AALSD (American Association for the Study of Liver Diseases) è guidato dal dott. Vincenzo Mazzaferro, che con i suoi Collaboratori ha reso l’Istituto Nazionale Tumori a Milano il Centro operativo chirurgico in assoluto più attivo d’Italia sui tumori epatici, siano essi primitivi (cioè originati direttamente nel fegato) o secondari (ovvero arrivati al fegato in forma di metastasi da tumori di altre sedi, in particolare dal colon).


Il progetto di lavoro ora riconosciuto dalla comunità  medico-scientifica internazionale appartiene al sempre più raro gruppo degli “investigator-initiated projects” ovvero è stato programmato e condotto interamente in Italia dai Ricercatori che l’hanno proposto, senza supporti economici da parte delle Aziende produttrici del farmaco impiegato nella sperimentazione.


Di fatto la sperimentazione è stata possibile grazie alla collaborazione di molti Medici di Base che hanno prescritto il farmaco interferone su indicazione dei Ricercatori Clinici dell’Istituto Tumori, sia come trattamento dell’epatite C (da cui tutti i pazienti erano affetti) che con lo scopo dichiarato di provare a ridurre la recidiva del tumore che era stato da poco rimosso.


Il dott. Mazzaferro, primo autore della ricerca, ha ufficialmente ringraziato nelle note introduttive della pubblicazione su Hepatology: “i Medici di Famiglia che hanno seguito le cure a domicilio dei loro pazienti inviati per l’intervento chirurgico all’Istituto Tumori di Milano e il Sistema Sanitario Nazionale Italiano che ha di fatto supportato i costi della prescrizione dell’interferone come parte di una strategia clinica tesa alla prevenzione delle complicanze dell’epatite C”. Questi risultati – ha continuato- dimostrino che è ancora possibile fare ricerca clinica di avanguardia in Italia pur rimanendo nel sistema pubblico, grazie alla collaborazione degli Organi di Gestione sanitaria regionali e nazionali, che non hanno posto ostacoli ad una sperimentazione tesa a migliorare l’aspettativa di vita dei cittadini affetti da patologie croniche come l’epatite C, la cirrosi e il tumore”.