The River

    E se fosse colpa di un vaccino? di Matt Ridley

 La morte di William Hamilton il 7 marzo 2000 è rimbombata nell’ambiente dei biologi con un fragore di tuono. Hamilton era probabilmente il più celebre biologo evoluzionista del mondo; un uomo le cui audaci teorie avevano dato vita a fecondi campi di ricerca, non una sola volta ma in tre diverse occasioni. Non è stato tanto il modo in cui è morto, a scuotere tanto i suoi colleghi. È morto di malaria contratta nella foresta pluviale del Congo, mentre cercava feci di scimpanzé, una morte tragica, ma che ben si addiceva a un grande naturalista, la cui curiosità per gli animali della foresta tropicale era stata il tema dominante della vita intera.

    La cosa inquietante era il motivo per cui si trovava in Congo in primo luogo.

Era lì per inseguire una teoria considerata non alla moda, per non dire assurda: che l’Aids sia stato causato dai vaccini antipolio. Si aveva la sensazione generale, appena mormorata, che Bill fosse diventato un po’ troppo eccentrico nello sposare questa teoria.
Molti grandi scienziati rischiano di intraprendere questa strada verso la fine delle loro carriere (Linus Pauling era convinto che la vitamina C potesse curare il cancro. Fred Hoyle pensava che l’influenza arrivasse dallo spazio. Alfred Russel Wallace diventò uno spiritualista).
Sembrano perdere il loro scetticismo. Alcuni dei colleghi biologi di Hamilton erano quindi imbarazzati di fronte alla sua conversione a una teoria complottistica poco apprezzata.

Le teorie sull’Aids hanno la tendenza a trasformarsi in teorie complottistiche, che accusano o la professione medica o la difesa. Ma ad Hamilton non succedeva spesso di avere torto. E ora sembra che anche su questo si possa dimostrare, postumamente, che aveva ragione. Un mese dopo la sua morte, un grande laboratorio americano cedette alle pressioni cui resisteva da otto anni, e consegnò, perché fossero sottoposti a test indipendenti, cinque campioni di un vaccino antipolio congelato.
Per lo scorso maggio era già stato fissato, da Hamilton e da altri due ricercatori sull’Aids, un incontro della Royal Society per discutere questa teoria. In seguito alla sua morte, questo incontro ha assunto un significato simbolico.
Diversi insigni ricercatori sull’Aids hanno annunciato che l’avrebbero boicottato, in segno di protesta, perché in questo modo si conferiva rispettabilità alla teoria del vaccino.
La Royal Society ha rimandato la conferenza all’autunno prossimo – tra la rabbia della famiglia di Hamilton. La posta in gioco si sta alzando. Come avviene in tutte le teorie complottistiche, quanti sono all’origine della teoria del vaccino antipolio sono anche i suoi peggiori nemici. Il loro capo, Louis Pascal, ha inviato, dal suo indirizzo di New York, lunghi e irosi articoli polemici, rifiutandosi di incontrare persino i propri sostenitori.
La teoria è stata esposta al pubblico per la prima volta nel 1992 in un lungo articolo pubblicato sulla rivista Rolling Stone, il che non ha incoraggiato gli scienziati a prenderla sul serio. Poi è arrivata all’attenzione di Edward Hooper, un uomo insolitamente tenace. Hooper è britannico; ha trascorso gran parte della sua vita in Africa, facendo diversi lavori, dal magazziniere in una miniera di diamanti a un incarico per la Bbc in Uganda.
Stava già scrivendo un libro sull’origine e la storia dell’Aids, la sua seconda opera su questa malattia.
Aveva approfondito diverse teorie sulla sua origine, trovando la maggior parte di esse prive di sostanza o inverosimili. Dapprima pensò che la teoria del vaccino fosse anch’essa poco plausibile. Ma gradualmente si accorse di non riuscire a liquidarla del tutto; anzi, peggio, scoprì che i fatti le si adattavano abbastanza bene.
Peggio ancora, quando chiese a persone più addentro nella materia di dimostrarne la falsità, si trovò ad affrontare non attestazioni contrarie, ma esplosioni d’ira, minacce di azioni legali e furibondi dinieghi. Non è facile darla a bere a Hooper. È uno che controlla tutto. Riesuma vecchi quotidiani coloniali dagli archivi delle biblioteche belghe. Telefona a vedove e figli di scienziati morti da tempo, che avrebbero potuto avere qualcosa a che fare con una parte della storia.

Rintraccia i parenti di quanti morirono di Aids all’inizio dell’epidemia. Perciò, quando iniziò a trovare grossi buchi nelle argomentazioni esposte per negare la teoria del vaccino antipolio, la sua curiosità era stata stuzzicata. Nei sette anni successivi diede la caccia alle prove, finendo per scrivere un resoconto straordinario e dettagliatissimo sull’ipotesi del vaccino antipolio e di quanti la contrastano, intitolato The River.

Nel libro, Hooper rivelava molti fatti nuovi sull’Aids e su quanto accadde nella corsa alla produzione di un vaccino antipolio negli anni Cinquanta. Arrivò pericolosamente vicino a collegare con certezza le due cose. Ma The River, per quanto brillante nella scrittura e attento nelle argomentazioni, era troppo accurato per questa epoca impaziente. Portava il lettore fino in fondo a ogni vicolo cieco. Entrava in dettagli microscopici su procedure di laboratorio da lungo tempo dimenticate. Era scrupolosamente attento a non formulare ipotesi che andassero più in là dei fatti accertati. Alcuni lettori trovarono difficile vedere la foresta della teoria negli alberi dei dettagli.

Quanto segue qui è, per gli impazienti, la storia ricostruita da Hooper. I vaccini attivi sono virus infettivi che sono stati resi relativamente innocui. Secondo Hooper, un particolare tipo di vaccino antipolio attivo chiamato Chat potrebbe essere stato sviluppato, negli anni Cinquanta, all’interno di cellule prelevate dai reni degli scimpanzé. Gli scimpanzé sono probabilmente la fonte animale del virus dell’Aids; i vaccini attivi avrebbero potuto esserne contaminati, se fu usato un animale infetto. Il Chat fu testato su oltre un milione di africani nel periodo 1957-60, proprio nelle stesse zone in cui successivamente l’Aids divenne epidemico per la prima volta.
Altre due forme di Aids, meno gravi, si svilupparono in alcune parti dell’Africa occidentale all’incirca nella stessa epoca, e ciascuna epidemia era strettamente associata ad un’area in cui è possibile che siano stati testati analoghi vaccini antipolio attivi. Detta così, la teoria appare puramente indiziaria.

 Si riduce a sette affermazioni, ciascuna delle quali dev’essere messa alla prova per cercare di confutarla. Si dovrà dimostrare, primo, che i tessuti di reni di scimpanzé furono usati per coltivare il vaccino antipolio Chat.
Secondo, che quei reni e il vaccino risultante erano stati, in alcuni casi, contaminati dal virus Siv degli scimpanzé, cioè dall’Aids delle scimmie.
Terzo, che le sottospecie di scimpanzé il cui Siv è il più simile al principale virus dell’Aids (Hiv-1, gruppo M) sono o le sottospecie orientali dello scimpanzé comune o i bonobo (entrambe le specie venivano tenute nel campo in Congo dove furono prelevati i reni). Quarto, che nessun caso di Aids o di Hiv è antecedente alle prove del vaccino.
Quinto, che i primi casi di Hiv-1, gruppo M, coincidono, nel tempo e nel luogo, con le prove del vaccino Chat in Congo e in Burundi. Sesto, che esplosioni minori di Hiv-1, causate da gruppi O e N, coincidono con le prove di vaccino francese in Gabon e in Camerun.

Infine, settima affermazione, che l’epidemia del meno virulento Hiv-2 è concentrata soprattutto in quelle parti della Guinea-Bissau dove negli anni Sessanta si effettuarono le vaccinazioni portoghesi.

Prima affermazione La prima affermazione sta per essere verificata. Si stanno inviando a tre diversi laboratori piccolissime porzioni tratte da un campione congelato di vaccino antipolio Chat, che era stato conservato nel Wistar Institute di Philadelphia, dove fu sviluppato il vaccino.
Hilary Koprowski è arrivata come direttore al Wistar Institute nel 1957, proveniente dai Lederle Laboratories, portando con sé alcuni tipi di un vaccino antipolio sperimentale. Appena prima del suo trasferimento, si recò in Congo, trascorse alcuni giorni con un uomo che aveva coltivato virus vivi della polio nei reni degli scimpanzé, e visitò il campo di Lindi, un impianto nei pressi di Stanleyville (oggi Kisangani), dove si detenevano scimpanzé selvatici in gran numero, per esperimenti medici.
I test dovrebbero dimostrare se il tessuto renale degli scimpanzé fu utilizzato per la coltivazione del vaccino, cosa che Koprowski ha sempre negato, ma senza fornire un resoconto convincente di quali altre specie di primati fossero state usate. È noto che alcuni reni di scimpanzé furono inviati a Filadelfia e in Belgio da Stanleyville, nel corso del 1957, per sperimentazioni mediche. Rimane incerto quando esattamente i vaccini Chat usati in Africa furono preparati. Alcuni provenivano indubbiamente dal Wistar Institute; alcuni venivano dal Belgio, o dal Rega Insitute di Lovanio, o da una società di nome Rit. Ma alcuni potrebbero essere stati preparati nel Laboratoire Médical di Stanleyville, dove 400 scimpanzé furono detenuti e uccisi tra il 1956 e il 1958.

Seconda affermazione Anche se furono usati tessuti di scimpanzé, la seconda affermazione – che cioè il vaccino fosse contaminato con il Siv – sarebbe difficile da dimostrare o da confutare. I cinque campioni del Wistar saranno sottoposti al test del virus; il risultato dovrebbe essere annunciato entro l’estate. Ma furono preparati molti lotti diversi di vaccino, e la maggior parte degli scimpanzé non sono portatori di Siv, perciò non tutti i lotti sarebbero stati contaminati. In un campione di 400 scimpanzé, tuttavia, è probabile che alcuni fossero infettati con il Siv. Da questo punto di vista, bisogna osservare che vi fu un’insorgenza del batterio Klebsiella tra gli scimpanzé tenuti a Lindi. Il Klebsiella è un batterio normalmente innocuo, che si rivela virulento nei pazienti malati di Aids, soprattutto in Africa, e nelle scimmie e nei primati che soffrono di Aids delle scimmie. Che i virus delle scimmie possano contaminare i vaccini vivi non è in dubbio. Il virus Sv40, che può provocare il cancro, fu scoperto negli anni sSessanta nei reni delle scimmie reso. Non fu il primo, bensì il quarantesimo virus ad essere scoperto soltanto nelle scimmie. Prima che si riuscisse a individuarlo, l’Sv40 aveva già contaminato dieci milioni di dosi di vaccino antipolio attivo. Si sapeva che provocava il cancro nei topi. Ma la professione medica, non vedendo incrementi nell’incidenza del cancro, tirò un sospiro di sollievo. Solo negli anni Novanta, grazie alla determinazione di uno scienziato italiano di nome Michele Carbone, risultò evidente che l’Sv40 è fortemente implicato nell’aumento di casi di mesotelioma pleurico o asbestosi negli ultimi decenni, e forse anche di altri tumori, soprattutto quelli del cervello. L’asbesto sembra sviluppare molto più facilmente cellule cancerogene nei soggetti infettati da Sv40.
Anche se le scimmie erano infettate dal Siv, è possibile che ciò abbia contaminato la coltura dei tessuti renali? All’inizio di quest’anno, nel corso di una conferenza sull’Aids a San Francisco, alcuni scienziati di New York hanno annunciato che «i reni sembrano essere un serbatoio finora non riconosciuto di infezione di Hiv-1» negli esseri umani.
Una coltura di cellule renali, anche quella preparata con l’attenzione più scrupolosa, può contenere piccole quantità di linfociti, o globuli bianchi, che sono i bersagli naturali del Siv. Il processo di produzione del vaccino è oggi così migliorato che nessun virus contaminante può sopravvivere alla preparazione della coltura, ma forse negli anni Cinquanta le cose non stavano esattamente così. I protocolli per la preparazione del vaccino Chat che ci sono rimasti sono troppo vaghi perché possiamo esserne certi.

La terza affermazione La terza affermazione – che gli scimpanzé provenienti dall’area intorno a Lindi sono portatori del virus più simile al principale virus umano dell’Aids – è una di quelle che Bill Hamilton sperava di riuscire a dimostrare con dei test durante la sua spedizione fatale. Attualmente soltanto quattro campioni di Siv sono stati isolati negli scimpanzé, e tre di questi provengono dalle sottospecie “sbagliate”, occidentali. Assomigliano all’Hiv-1, gruppi O e N, più che all’Hiv-1, gruppo M. L’altro campione di Siv degli scimpanzé proviene da una delle sottospecie orientali – la stessa detenuta a Lindi. Anche il suo Siv è simile ai gruppi O e N, il che sembrerebbe togliere peso alla teoria dell’antipolio. Ma Hooper sottolinea che non ci si può basare su di un unico campione; lo scimpanzé in questione, che si chiama Noah, ha trascorso un lungo periodo in cattività, prima nel Congo e poi in Belgio, e avrebbe potuto essersi infettato con il Siv tramite contagio da un altro primate. Inoltre, c’erano scimmie di un’altra specie a Lindi, il bonobo o scimpanzé pigmeo, e nessun tipo di Siv è stato trovato in questa specie sorella.

Se i campioni di Hamilton non riveleranno altri Siv, provenienti direttamente dal Congo, la terza asserzione resterà irrisolta, in una direzione o nell’altra.

Matt Ridley è l’autore di Genome (Fourth Estate) e presidente dell’International Centre for Life, Newcastle-upon-Tyne. © Prospect Magazine