Coinfezione da HEV può causare rapidamente cirrosi

L’infezione da virus dell’epatite E (HEV) può causare rapidamente una progressione verso la cirrosi epatica nei pazienti sieropositivi con una conta bassa dei linfociti CD4, come evidenziato da due casi clinici pubblicati di recente nell’edizione online della rivista Clinical Infectious Diseases.

In particolare, un gruppo di ricercatori spagnoli riporta due casi di infezione da HEV in uomini gay sieropositivi e caratterizzati da una grave immunosoppressione, nei quali si è osservata una rapida comparsa della cirrosi. Tuttavia, un trattamento con ribavirina in monoterapia ha portato in entrambi i pazienti alla normalizzazione della funzionalità epatica e alla soppressione temporanea della replicazione dell’HEV.

“L’infezione cronica da HEV… può portare a cirrosi in meno di 3 anni” scrivono gli autori. “Nei pazienti con infezione da HIV immunodepressi e con epatite E cronica, la progressione verso la cirrosi può essere ancora più veloce di quella osservata nella coinfezione con HBV o HCV”.

L’epatite E è una delle principali cause di epatite acuta nei Paesi in via di sviluppo. Spesso è asintomatica e l’infezione è in genere eliminata dalle difese naturali dell’organismo. Nella maggior parte dei casi, è provocata dal consumo di prodotti a base di carne di maiale poco cotta.
L’immunosoppressione è un fattore di rischio noto di persistenza dell’infezione da HEV e in alcuni Paesi sono stati segnalati alti tassi di coinfezione da HIV/HEV. In Spagna, dove si sono verificati i due casi pubblicati,, tra il 2 e il 7% della popolazione generale presenta anticorpi anti-HEV e una prevalenza simile è stata osservata in persone con infezione da HIV.
Il primo caso segnalato dagli autori spagnoli riguarda un uomo di 47 anni, trovato sieropositivo all’HIV nel 1995, con una conta dei CD4 che al momento era solo di 17 cellule/mm3. La terapia antiretrovirale ha portato alla soppressione della carica virale al di sotto della soglia di rilevabilità, ma la conta dei CD4 ha continuato a rimanere bassa, senza mai superare le 100 cellule/mm3 nei primi anni di terapia e, successivamente, senza mai salire oltre le 200 cellule/mm3.
Nell’aprile 2008, il monitoraggio della funzionalità epatica ha rivelato un livello di ALT di 482 UI/ml, ben al di sopra della norma. I test per l’epatite A, B e C sono risultati tutti negativi, ma sono stati trovati anticorpi contro l’HEV. La funzionalità epatica si era normalizzata nel gennaio 2009, ma ha ripreso a peggiorare un mese dopo. La rigidità del fegato è aumentata nel tempo, passando da 4,9 kPa nell’aprile 2006 a 17,1 kPa nell’aprile 2011, suggerendo una rapida insorgenza di una cirrosi epatica, poi confermata dalla biopsia epatica, che ha documentato una cirrosi associata a una steatosi significativa. I test di screening per l’epatite A, B e C hanno continuato a restare negativi e l’uomo ha riferito di fare un consumo di alcol modesto.
L’analisi retrospettiva di campioni di siero archiviati ha confermato un’infezione acuta da HEV di genotipo 3 nel marzo 2008. Il paziente è stato quindi sottoposto a un ciclo di monoterapia con ribavirina per 24 settimane (1200 mg/die) nel novembre 2011. Entro un mese, i livelli delle transaminasi epatiche si sono normalizzati, l’HEV RNA è sceso al di sotto della soglia di rilevabilità e si è evidenziata la presenza di anticorpi contro l’HEV. La soppressione dell’HEV si e mantenuta fino alla fine della terapia e fino a 3 mesi dopo, gli enzimi epatici sono rimasti nella norma e la rigidità del fegato è scesa a 14 kPa. Tuttavia, nel mese di ottobre 2012, l’HEV RNA risultava nuovamente rilevabile nel plasma.
Il secondo caso si riferisce a un paziente di 53 anni cubano, ma residente in Spagna dal 1979 e trovato sieropositivo nel 1999, con una conta dei CD4 di 19 cellule/mm3. I medici hanno iniziato subito la terapia anti-HIV, ma l’uomo ha interrotto spesso il trattamento. Nel mese di aprile 2006, quando la conta dei CD4 era di 88 cellule/mm3, si è osservato un aumento dell’ALT fino a 261 UI/ml, mentre i test di screening per l’epatite A, B e C sono risultati tutti negativi.
Si è poi osservato un drammatico aumento della rigidità epatica, passata da 6,7 kPa a 38,5 kPa, l’endoscopia ha rivelato la presenza di varici esofagee e i test hanno mostrato la presenza di anticorpi anti-HEV.
I campioni di siero archiviati sono risultati negativi per gli anticorpi anti-HEV prima del picco di ALT, ma positivi in seguito e l’HEV RNA è risultato rilevabile a intermittenza nel sangue e persistentemente nelle feci. Inoltre, il sequenziamento ha confermato che l’infezione era provocata da HEV di genotipo 3.
Nel settembre 2011, l’uomo è stato sottoposto a un ciclo di 24 settimane di monoterapia con ribavirina (1000 mg/die). Nel gennaio 2012 la viremia HEV non era più rilevabile sia nel plasma sia nelle feci, la funzionalità epatica si era normalizzata, la rigidità epatica era diminuita e la conta dei CD4 era risalita fino a 289 cellule/mm3. Dieci settimane dopo la fine del trattamento, l’HEV RNA era nuovamente rilevabile nel plasma, ma poi risultava scomparso nell’ottobre 2012.
“Nei pazienti sieropositivi all’HIV, infezione da HEV di genotipo 3 andrebbe considerata come un’infezione opportunistica, dal momento che sembra evolvere in modo diverso dall’infezione da HIV” scrivono gli autori spagnoli, aggiungendo che “un ritardo nella diagnosi dell’infezione da HEV e, di conseguenza, nell’avvio della terapia antivirale, può portare a complicazioni cliniche e conseguenze pericolose per il paziente”.
I ricercatori concludono, perciò, che ha senso sottoporre ai test per l’HEV i soggetti con infezione da HIV che presentano aumenti inspiegati delle transaminasi o una fibrosi epatica di origine sconosciuta e che un breve ciclo di ribavirina può controllare temporaneamente la replicazione virale, anche se bisogna ancora capire quale sia il regime di trattamento ottimale per questi pazienti.
FONTE: pharmastar.it
Canale informativo: Poloinformativohiv.info