Let’s stop HIV Verso un nuovo paradigma di cura centrata sul paziente con HIV

Cosa cambia nella gestione del paziente con HIV in epoca COVID-19? Quali sono le risposta date dal sistema santiario alla pandemia? Quale nuovi modelli assistenziali emergeranno? A questi ed altri quesiti hanno cercato di rispondere clinici e membri della Community riuniti virtuamente nell’edizione online del Convegno Let’s stop HIV.

La gestione del paziente con HIV: verso nuovi modelli di assistenza

Sfruttare la pandemia come una opportunità: è stata questa la risposta della comunità scientifica a SARS-CoV-2, spiegano Anna Maria Cattelan e Cristina Mussini, co-chair del convegno.  Nell’assistenza alle persone con HIV si è cercato di garantire la continuità dei servizi erogati, sebbene con alcune restrizioni per quanto riguarda le attività ambulatoriali, limitate nella fase di lockdown a quelle essenziali non differibili. Il calo dei test effettuati può essere ricondotto alla riduzione degli spostamenti durante e successivo al lockdown, o ad una effettiva riduzione di comportamenti a rischio, o ancora alla difficoltà di accesso alle strutture.  D’altro canto, la telemedicina è emersa come metodica sempre più implementata (+ 50%) e anche gradita dai pazienti: va comunque mantenuta una pianificazione di visite in presenza (almeno una volta all’anno),  restando il clinico il riferimento del paziente.  in questo campo sono in corso alcuni progetti, come a Modena e all’Ospedale Spallanzani di Roma. Va comunque ribadita la necessità di un urgente riconoscimento della telemedicina a livello regionale come una vera attività ambulatoriale: ad oggi solo la Regione Veneto si è mossa in questa direzione. Emerge forte, anche da parte della Community, la richiesta di Linee guida che regolino le attiivtà della telemedicina, che non deve sostituire la visita clinica: il rapporto medico-paziente va sempre garantito, e in questo periodo in cui l’attività ambulatoriale è ridotta, l’unico mezzo è proprio la telemedicina.  La telemedicina  offre nuove opportunità di ricerca e la possibilità di ridisegnare i precedenti modelli di cura: va compreso come essa possa contribuire all’intero spettro di cure, compresa la raccolta dei dati, l’empowerment del paziente, la diagnosi e la somministrazione di terapie. In caso di HIV, è necessario valutare il grado di impatto della telemedicina sulla fornitura di cure basate sull’evidenza e sulla qualità dell’assistenza. In questo campo, inoltre, deve comprendere altri professionisti sanitari coinvolti nella cura dell’HIV come infermieri, psicologi, farmacisti e altri.

Per combattere lo stigma verso Sars-CoV-2 non dimentichiamo l’esempio di HIV

La pandemia, con il timore del contagio che porta necessariamente con sé, ha purtroppo influenzato i cittadini spingendoli a esprimere alcuni sentimenti sociali molto negativi, come i sentimenti di colpevolizzazione e di criminalizzazione, la chiusura verso le altre persone, la discriminazione e lo stigma. Una possibile risposta a COVID-19 sarebbe dovuta venire, spiega Margherita Errico, presidente di NPS Italia, dalla “lezione” dell’HIV, campo in cui da molti anni gli attivisti si battono per l’ottenimento dei diritti e la riduzione dello stigma e della discriminazione.  Sembra invece che questa lezione non sia stata appresa a sufficienza.  Uno degli ambiti in cui può essere operato questo “trasferimento” da HIV a COVID è la sfera sessale: è stato ampiamente dimostrato nella infezione da HIV il fallimento degli approcci repressivi fatti di stigma e negatività, come l’astinenza. Il timore del contagio oggi molto diffuso può portare a demonizzare il bisogno di intimità, del tutto legittimo in qualsiasi situazione, e quindi a demonizzare i contatti sessuali. In un certo senso è stato sovvertito il normale ordine delle cose che prevede, in caso di una epidemia, che la nostra attenzione sia rivolta prima al virus, quindi alle strutture politico-sociali che ci impediscono di rispondere al virus, poi verso la mancanza di strumenti efficaci nei confronti del virus e, solo in ultimo, ai comportamenti individuali che contribuiscono alla diffusione del virus stesso. Troppa attenzione è rivolta invece oggi verso i comportamenti e quindi alla loro stigmatizzione, le persone non si focalizzano abbastanza sul virus, pur osservandone gli effetti. Bisogna al contrario oggi considerare che lo stigma può diventare pervasivo e rivolgersi non solo verso i comportamenti ma anche verso le intenzioni: con il rischio di arrivare a chiedersi perché, durante una pandemia, in cui non si devono avere contatti, bisogna voler fare sesso o volere iniziare una PrEP? Inoltre, è stato dimostrato che lo stress “pandemico” in assenza di un sostegno psicosociale aumenta il rischio di non aderenza o di interruzione della PrEP, così come riduce le motivazioni a eseguire il test per HIV in presenza di restrizioni e di rischi percepiti di infezione nelle strutture sanitarie”.

Strategie terapeutiche in HIV: verso la semplificazione?

Oggi lo scenario delle strategie terapeutiche in prima linea è ampiamente dominato dagli inibitori dell’integrasi di seconda generazione, sulla base di risultati straordinari di efficacia ottenuti, commenta Andrea Antinori, dell’INMI L.Spallanzani di Roma, con una dimostrazione di potenza antiretrovirale che trova pochi precedenti nella storia della terapia di HIV.  L’alta barriera genetica li rende fortemente performanti in tutte le condizioni cliniche, così come nel setting dell’inizio rapido della terapia.

Le Linee guida di terapia antiretrovirale, anche quelle più “conservative” come DHHS, hanno scelto di restringere le opzioni terapeutiche di prima linea, semplificando quindi lo scenario e andando quindi verso un approccio terapeutico standardizzato, che preveda una terapia per tutti. 

Di questo scenario di semplificazione possono beneficiare tutte le nuove strategie terapeutiche, prima tra tutte quella dell’inizio rapido della terapia ARV: la terapia rapid può basarsi sull’utilizzo di questi regimi, grazie all’ottenimento di un veloce decremento della carica virale, all’alta barriera genetica alle resistenze, requisito per poter fare a meno del test delle resistenze, e ad una safety particolarmente buona in grado di semplificare il monitoraggio nel follow up.

Per queste caratteristiche in questa fase critica caratterizzata dalla pandemia da SARS-CoV-2, in cui l’accesso alla strutture cliniche è ridotto,  le linee guida inglesi della BHIVA hanno optato per raccomandare la scelta di bictegravir/emtricitabina/tenofovir alafenamide in quanto regime ad alta barriera genetica, ben tollerato e con poche interazioni farmacologiche, per minimizzare il riscorso al monitoraggio o a test diagnostici aggiuntivi.

In un prossimo futuro i regimi long acting rappresenteranno certamente una novità rispetto alla terapia standard e apriranno nuovi scenari: il portfolio è molto ampio, dai long acting di prima generazione, quali cabotegravir e rilpivirina, a quelli di seconda generazione come islatravir, a lenacapavir, inibitore del capside che ha dimostrato una buona efficacia nel paziente resistente ma che risulta utile anche nelle linee precedenti, fino agli anticorpi monoclonali..

La gestione della vulnerabilità in epoca COVID-19

L’invecchiamento progressivo della popolazione con HIV, legato all’aumentata aspettativa di vita, rende ancora più importante un atteggiamento proattivo nella gestione degli effetti collaterali: in questo momento di limitazione degli accessi all’ospedale, e quindi a molti esami diagnostici strumentali, il percorso di valutazione della vulnerabilità nel paziente con HIV è più difficile, spiega Marco Borderi, dell’A.O.U Sant’Orsola-Malpighi di Bologna.  Anche oggi che i nuovi farmaci antiretrovirali presentano rispetto al passato un miglior profilo di tollerabilità a livello renale, nell’anziano, così come in una situazione di ritardo nella valutazione clinica, anche la perdita di 1 ml/min di filtrato glomerulare può avere una valenza importante, in considerazione della nota correlazione tra microalbuminuria e rischio cardiovascolare. Nella valutazione del danno renale ci si concentrava soprattutto sugli aspetti del tubulo, ma oggi la strategia terapeutica prevede l’utilizzo di nuovi farmaci con effetti “cosmetici”  a livello tubulare. Ma se il rene non presenta più performances adeguate, come nell’anziano, o non viene monitorato, ci si può infatti attendere un impatto sul metabolismo osseo. In questi termini merita una maggiore attenzione il controllo della vitamina D o del metabolismo del calcio/fosforo, elettroliti la cui valutazione spesso viene trascurata, esponendo il paziente ad un aumento del rischio di frattura. Evento che, se può essere considerato trascurabile sulla base delle interviste ai pazienti, diventa invece molto importante utilizzando i dati morfometrici: riguarda un paziente su cinque, con un forte impatto sulla qualità di vita futura.

In presenza di un rischio a livello renale ed osseo legato all’invecchiamento, e tenendo conto del legame tra evento fratturativo, perdita di massa ossea ed evento cardiovascolare, è importante intervenire sugli altri fattori di rischio presenti, come quelli cardiovascolari, ad esempio i lipidi. Nella valutazione cardiovascolare, va considerato sempre l’effetto di HIV: sotto la pressione selettiva iatrogena, per la presenza di recettori per alcuni tipi di farmaci, la cellula mesenchimiale si può differenziare maggiormente verso la linea lipidica, che risulta comunque la più modificabile. Va infatti ricordato che, a differenza del metabolismo osseo, le cui alterazioni sono soprattutto legate a fattori genetici e quindi immodificabili, sugli aspetti cardiovascolari dell’infezione da HIV il clinico è in grado di agire a diversi livelli e in modo efficace: con terapie farmacologiche (statine, fibrati) oppure con modifiche dello stile di vita (cessazione del fumo).

La pandemia ci ha costretti a rivedere il nostro agire quotidiano: senza la possibilità di utilizzare strumenti diagnostici che prevedano la presenza fisica del paziete, diventa oggi importante riuscire a valutare la condizione di fragilità del paziente, utilizzando score di rischio (Framingham, FRAX, FIB-4 etc), per sapere in quale ambito clinico iniziare l’intervento terapeutico e per comprendere il peso degli effetti collaterali.

La sfida della terapia biologica a HIV

Amplificare gli strumenti della prevenzione, semplificare il trattamento e intervenire in termini di immunoterapia per raggiungere la guarigione del paziente. L’interesse dei clinici nei confronti dell’ immunoterapia deriva, secondo Gabriella d’Ettorre, dell’Università di Roma “La Sapienza”, dagli scenari clinici aperti dai pazienti Elite controllers e Post treatment controllers, in cui si osservano rispettivamente una risposta immunitaria CD8-specifica in grado di controllare la replicazione virale ed uno stato di immunoattivazione controllato insieme ad uno stato infiammatorio assente. Tra le diverse strategie oggi in sperimentazione, l’impiego degli agonisti dei Toll-like receptors ha l’obiettivo di agire sulle cellule latentemente infette (reservoir) e quindi modulare la risposta immunitaria. Dopo gli interessanti dati ottenuti in vitro, l’agonista del TLR 7 vesatolimod ha ottenuto dati molto importanti in pazienti virosoppressi in interruzione terapeutica (ATI) (1): nel gruppo di pazienti placebo il rebound di carica virale > 200 copie/ml si osserva a partire dalla 4° settimana di ATI contro la 32°  nel gruppo di pazienti che assumevano vesatolimod. Inoltre, il livello di HIV-DNA risulta più basso tra il basale ed il periodo pre-ATI nel gruppo trattato rispetto al gruppo placebo. La misurazione della risposta immunitaria in termini di geni che stimolano la sintesi di IFN (ISG) ha mostrato che a 24 ore dalla somministrazione di vesatolimod, si ottiene un incremento di ISG ed un aumento dei livello di IFN-α.

Al dosaggio di 8 mg vesatolimod comporta un’attivazione dei CD4 e dei CD8 (2): la stimolazione immunitaria osservata fornisce, quindi, le basi per futuri studi di associazione con farmaci antiretrovirali, anticorpi neutralizzanti e vaccini terapeutici.

  1. SenGupta D et al. Safety & Analytic Treatment Interruption Outcomes of Vesatolimod in HIV Controllers. CROI 2020 March 9. Oral 40
  2. Wallin J et al. Vesatolimod, a toll-like receptor 7 (TLR7) agonist, induces dose-dependent immune responses in HIV controllers. 23rd International AIDS Conference, abstract OAB0205, 2020

Come rispondere oggi ai bisogni e alle fragilità dei pazienti con HIV?
Intervista video a Giovanni Guaraldi 
Sergio Lo Caputo

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