sempre la stessa storia


Quando 11 anni fa, ho deciso di intraprendere questo percorso, dal nulla, desideroso d’ inventarmi una vita possibile e compatibile, ho sempre tenuto a mente chi ero e da dove venivo, e ho sempre giurato a me stesso che non me ne sarei mai dimenticato.
Mi sono laureato a pieni voti all’università  della Suburra, tutte le cose che ho imparato, le ho vissute in strada e sempre in prima persona, le tranvate sono state tante, cosଠcome le esperienze “˜forti’ fatte, i libri sono venuti dopo, per libera scelta e fame di cultura, tutta quella che m’ero perso per la strada, che m’ha insegnato tutto il resto.
La Bassa Soglia è il mio ambiente naturale, conosco lingua usi costumi cucina e religione, tutto quello che c’è da sapere sul campo, ma sono arrivato domani in tutto il resto.

Caratterialmente, la diplomazia m’è stata materia ostile per lustri, ora va molto meglio, ma ho dovuto imparare a contare fino a 12895367 prima di pronunciarmi, e saltuariamente, assimilare interi vassoi di merda imbanditi di rospi.
Tecnicamente, superare le cazzate, le invidie, le controproducenti ed assurde rivalità , gli orticelli, le beghe da comare, le leggende da cortile, e quello che odio di più: i cappelli politici.
Il variegato mondo del volontariato cozza spesso con il variegato mondo dell’attivismo, è stressante. Dovremmo remare dalla stessa parte, insieme, per il bene delle persone che tramite le associazioni rappresentiamo, invece spesso non succede.
Le corporazioni sono frequentemente cinte di mura secolari, contaminate anche dalla massoneria, per quanto riguarda l’ambiente carcerario è già  un bastione invalicabile di per se, fare una breccia senza l’aiuto interno è impensabile, uomini di buona volontà  esistono, “¦ma si fa fatica ad individuarli, e comunque ci s’impantana sempre in norme, regolamenti anacronistici, scarsità  di risorse, economiche ed umane, problemi strutturali, logistici, di bugget, i tedeschi , le cavallette, era il funerale di mia sorella, la siccità , l’effetto serra, “¦ce ne sempre una.

Chiaramente leggo gli articoli di Francesco, e ogni volta non posso fare a meno di ripiombare nel mio vissuto, che ogni volta sembra arrivare come la macchina del tempo a sballottarmi in giro per i ricordi, spesso volutamente riposti nell’intercapedine del cervello, polverosi, come la vecchia fiala di Baudelaire, da cui esce tutta viva un’anima che ritorna.
Inevitabile evitare confronti con adesso, qui e ora.
Io mi sono infettato in carcere 30 anni fa, me lo hanno riscontrato (sempre in carcere) nel 1984, quando ero una splendida testa di cazzo ventiduenne appena sposato da quaranta giorni.
Ho scritto un libro su questo e non è il caso ripetermi, però succederà  spesso che farò paralleli con i miei raccapriccianti tempi. Anzi, lo faccio subito:
Lo scorso 18 agosto è morto Nicola G, un paziente detenuto Hiv/Hcv di 47 anni (come me).
Non v’impressionate, è solo l’ennesimo numero su una casistica, una tradizione che si perpetua.
Ironia della sorte, è morto nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Civita Castellana (Vt) proprio mentre il Tribunale della Libertà  di Roma gli concedeva il differimento della pena per le sue gravi condizioni di salute.
Era da poco detenuto nel carcere di Rebibbia Penale, e doveva scontare una condanna che sarebbe finita fra tre anni.
Attraverso i suoi avvocati, a causa del peggiorare della sua malattia, Nicola, aveva presentato istanza al Tribunale della Libertà  chiedendo il differimento della pena.
Due mesi prima che morisse, i giudici avevano chiesto alla direzione del carcere una relazione medica sullo stato di salute di Nicola fissando per il 19 settembre l’udienza per decidere sull’istanza di differimento.
Cinque giorni prima di morire, Nicola peggiora e viene ricoverato nella struttura protetta dell’ospedale   “Sandro Pertini”; tre giorni dopo viene trasferito nella struttura sanitaria protetta dell’ospedale “Belcolle” di Viterbo, dove arriva già  in coma.
Trasferito nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Civita Castellana, Nicola muore il 18 agosto.
 
Il Garante regionale dei detenuti  Angiolo Marroni  ha detto: «La morale di questa triste vicenda, è che una persona è morta dove non doveva stare; praticamente in carcere e lontano dai suoi cari. Sono dispiaciuto di dover constatare che, ancora una volta, i tempi tecnici della giustizia sono drammaticamente più lunghi di quelli di una malattia che mina irreparabilmente la salute di un uomo».
Ai miei tempi era uguale: morivi, punto.
Anche Nicola, come di centinaia di altri, nei decenni, è morto senza cure appropriate, senza conforto e umanità , nella paura e nella solitudine.
Un prezzo aggiuntivo troppo estremo per chiunque.
Siccome la stupidità  umana non ha confini, qualcuno dice che è solo un “˜effetto’ collaterale, indesiderato, ripercussione su un comportamento (come se tutti i detenuti del mondo fossero la schiuma della merda, dimenticando che indipendentemente da questo,chiunque può entrare in carcere, specie in tempi come questi, è molto più facile di quanto sembri o si possa pensare, salvo che per gli inossidabili ed immarcescibili soliti noti, che possono barare stravolgendo leggi e creandosene at personam di nuove).
Dal mio punto di vista, (che come le opinioni e i pareri sono uguali all’orifizio dell’ano, ognuno ne ha uno), queste sono pene di morte.
Soffrire e urlare aiuto ai sordi (resi tali dalla burocrazia, dalle norme, dall’incuria, dall’ignoranza abissale, dall’insensibilità  umana ed etica, persino in tempo di guerra si consentiva di curare i feriti, anzi era un diritto fondamentale, osservato dalla convenzione di Ginevra) nel buio dell’insalubre cella, equivale a languire mortalmente in un autoctono braccio della morte.
La sentenza, come in questo caso è molto rapida, prima delle grottesche giustificazioni.
Sono passati 25 anni, ma si muore sempre allo stesso modo negli stessi posti e nelle medesime modalità , ci riempiamo la bocca con modernità , progresso, civiltà “¦ ma per favore!


Buon Natale a tutti.


Caino


Articolo originale su Nicola G. da Vita.it